1. LA NUOVA RAI È UNA FRANA
Paolo Festuccia per La Stampa
Crollano anche i «pacchi» a viale Mazzini. Per ora, sono quelli del programma «Affari tuoi» - che in un anno ha perduto un milione secco di telespettatori (dati auditel) - poi chissà che insieme ai pacchi non affondi anche il cavallo di Messina. E già, perché al di là delle tensioni che hanno portato alla bocciatura del piano dell’informazione e alla conseguenti dimissioni del direttore editoriale Carlo Verdelli, c’è un altro fiume in piena che rischia di investire la tv pubblica (e i suoi vertici) e concerne il calo degli ascolti e il flop di decine di programmi.
In quest’ultimo anno, infatti, l’azienda radiotelevisiva italiana (nel confronto dicembre 2015 con dicembre 2016) ha perduto nell’intera giornata il 2,04 per cento di share mentre Mediaset negli ascolti ha guadagnato l’1,29 per cento. Ma non finisce qui, perché dalla lettura dei dati si evince che in generale l’unico editore televisivo italiano ad avere il segno meno davanti alla performance è solo la Rai.
renzi campo dall orto coldagelli sensi dietro le quinte di politics foto fq insider
Tutti gli altri competitors, infatti, chi più chi meno, hanno vinto la loro gara degli ascolti. Certo il dato che maggiormente colpisce è il costante sorpasso di «Striscia» sul programma di Raiuno (4 milioni 810mila spettatori per il Tg di Ricci contro 3milioni 925mila spettatori per Insinna) ma, nei fatti, nessuna delle tre reti pubbliche presenta dati positivi. Dunque, tutti crescono tranne la Rai. Un bene per la concorrenza che raccoglie il plauso del pubblico e affonda ancor più i denti sulla torta del mercato pubblicitario un male per viale Mazzini che seppur garantita dagli introiti del canone in bolletta non riesce però a rilanciare sulla centralità e la qualità della programmazione.
Tant’è, che a difendere gli ascolti di viale Mazzini contro gli avversari restano solo i successi della fiction («I Medici» compresi) quasi tutti messi in cantiere prima dell’avvento di Campo Dall’Orto a viale Mazzini (compreso l’accordo Rai-Netflix per la produzione di «Suburra» che a suo tempo fu confezionato dall’ex dg Luigi Gubitosi): da «Don Matteo» a «Montalbano» per finire con «Che Dio ci aiuti» e «Braccialetti rossi».
Per il resto: poco o niente. Come peraltro in più circostanze ha fatto notare l’attento deputato del Pd Michele Anzaldi che nel rivendicare «siamo stati noi a nominare questi vertici» non ha mancato di elencare gli insuccessi inanellati dalla Rai anche sul fronte dell’informazione: dal flop di «Politics» e di «Politics tribuna» alla cancellazione di «Ballarò». Il tutto a vantaggio di emittenti «come La7 e il Tg di Mentana».
direttori rai campo dall orto dallatana fabiano bignardi teodoli
In poco più di un anno, insomma, (il nuovo vertice di viale Mazzini si è insediato lo scorso agosto) alla Rai è accaduto di tutto di più: molti esponenti politici, magari anche strumentalmente, sostengono in peggio ma non è un mistero, che il sottosegretario Giacomelli proprio a un anno di distanza dall’insediamento di Campo dall’Orto sentenziò che «alla Rai manca ancora un progetto».
CAMPO DALL ORTO E MONICA MAGGIONI
Un progetto che ancora non c’è, così come ancora non c’è un piano editoriale forte e il rinnovo della convenzione del servizio pubblico. Ovvero il fondamento per affidare i soldi del canone alla Rai. E stavolta - osserva un acuto osservatore dei fatti di viale Mazzini - per rispondere alle accuse che si fa una brutta televisione non basterà dire che è colpa dell’evasione che non consente investimenti...Stavolta tutti i cittadini che pagano il canone in bolletta pretendono di essere ripagati con la qualità, l’efficienza e il prodotto». Tre elementi che potrebbero pesare sul futuro di Campo Dall’Orto molto più delle dimissioni di Carlo Verdelli.
2. LA POST-RAI
Marco Travaglio per Il Fatto
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Fateci caso: Carlo Verdelli si è dimesso da direttore editoriale delle news Rai. Ma non perché, nell' ultimo anno, la Rai abbia stracciato il record (da essa stessa detenuto) di balle raccontate ai telespettatori a reti unificate: perché il Cda ha bocciato il suo piano organizzativo che spostava il Tg2 a Milano, creava un TgSud e accorpava le Tgr a Rainews24.
L' attendibilità delle news non era proprio all' ordine del giorno. E comunque il direttore delle news non aveva alcun potere sui tg e sui talk show che le diffondono: quelli li ha sempre gestiti l' onnipotente ad-dg Campo Dall' Orto, cioè Renzi che l' ha nominato.
Quindi sarebbe ingeneroso mettere in conto a Verdelli il Premiato Bufalificio di Viale Renzini, che ormai opera a reti unificate dopo la renzizzazione di tutti e tre i canali e tutti e tre i tg. Roba da far impallidire persino la Rai berlusconiana, che almeno Rai3 e il Tg3 li lasciava alla sinistra. Verdelli, galantuomo e professionista coi fiocchi, è uomo di carta stampata e sa poco di tv.
E ancor meno ne sapeva il suo vice Francesco Merlo, ingaggiato per la modica cifra di 240 mila euro l' anno per fare non si sa bene cosa e fuggito il giorno prima del referendum fiutando la mala parata. Ma soprattutto Verdelli non è uomo di mondo, non frequenta i corridoi, le terrazze e i palazzi romani: gli avevano garantito che avrebbe lavorato senza rendere conto ai partiti e ci aveva creduto: naturalmente non gli han fatto toccare palla e, appena il padrone della Rai è uscito da Palazzo Chigi per andare a sciare a Ortisei, l' hanno fatto fuori.
campo dall'orto renzi nomine rai
Ora Campo Dall' Orto comunica bel bello che non lo sostituirà, ammettendo così che la Direzione News era una foglia di fico totalmente inutile (tanto la paghiamo noi: la Corte dei conti non ha nulla da dire?). Poi annuncia al Corriere: "Completerò io il piano di Verdelli". Con le sue manine. E via di supercazzole: "Abbiamo compiuto un lungo percorso", bisogna "raccontare il Paese al di là dei suoi confini" (oddio, andrà in Africa con Cuffaro e al posto di Veltroni?), "l' unificazione delle testate chiede quotidianamente una prospettiva diversa, sempre innovativa, nel lavoro" (qualunque cosa voglia dire).
Di togliere il disturbo manco a parlarne. Del resto, il suo anno e mezzo in Viale Mazzini è lastricato di trionfi. Ha chiuso due programmi di successo come Ballarò e Virus per rimpiazzarli con due flop epocali (il samiszdat Politics del fantasma Semprini è scomparso così com' era nato: senza che nessuno se ne accorgesse), ha cacciato la Berlinguer dal Tg3 per relegarla alle 18.30 e ora la richiama in prima serata come se niente fosse.
Paolo Mieli, Antonio Campo Dall'Orto a Spoleto
Ha assunto 21 esterni a peso d' oro, di cui 11 con contratti illegittimi secondo l' Anac, e non ne ha sciolto neanche uno, nemmeno quello del mitico Génseric Cantournet, detto Ispettore Clouseau, selezionato come capo della Security da una società super partes: quella del padre. Ha accumulato 70 milioni di perdite, a fronte di 200 milioni di introiti in più grazie al canone in bolletta.
Ha promesso una Rai indipendente dai partiti e ne ha fatto un organo di partito che batte in servilismo persino quella di Masi e Minzolini. E ora dichiara, restando serio: "Io ho ricevuto un mandato legato all' innovazione della Rai da Matteo Renzi. Ed è un impegno che intendo continuare a svolgere anche con il governo Gentiloni". È la declinazione 2.0 dell' antico "Franza o Spagna purché se magna". Perché lui è renziano come Campo e gentiloniano come Dall' Orto.