Michela Bompani per “la Repubblica” - Estratti
«Se la prossima settimana non si chiude sul mio nome, valuto il ritiro della candidatura: la mia disponibilità non è a tempo infinito»: l’ex ministro Andrea Orlando, Pd, candidato in pectore presidente della Regione Liguria per il campo largo, fa deflagrare il suo ultimatum nell’ennesimo immobile giorno d’agosto in cui la politica continua a fare melina, il Pd aspetta e il M5s si misura.
Per il campo largo (che ha intascato anche il sì di Renzi), potrebbe essere (quasi) un gol a porta vuota riprendersi la Regione dopo nove anni di centrodestra, nella Liguria sconquassata dall’inchiesta che ha travolto l’ex presidente della Regione, Giovanni Toti. Invece, ecco spuntare i distinguo e dondolare le stadère, per misurare i pesi politici nel campo largo, soprattutto del M5s.
Così, dopo settimane di attesa, Orlando prende il timone: «Ho dato la disponibilità, ho lavorato alla coalizione e ai programmi: o si ufficializza la mia candidatura, o prendo atto che la coalizione debba trovare un altro candidato». Nei giorni scorsi, dalle file del M5s si è fatto avanti il senatore Luca Pirondini, come candidato presidente. Una mossa che ha fatto salire la tensione nella coalizione, anche se è subito stata ridimensionata dallo stesso Pirondini, «non è contro Orlando» ed è parsa più un segnale politico in direzione della fronda di Grillo, che aveva voluto Pirondini come candidato sindaco M5s a Genova nel 2017.
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LEI, LUI, L’ALTRO: RENZI RISCHIA DI FAR SALTARE I GIALLOROSA IN LIGURIA
Luca De Carolis per “il Fatto quotidiano” - Estratti
Te la do io la Liguria, avrebbe detto il Beppe Grillo di molti decenni fa, giovane comico. Ma oggi non potrebbe dirlo neanche per scherzo (forse). Perché la questione Regionali è un guazzabuglio, l’ennesimo che coinvolge il presunto campo largo, con al centro un problema che ha un nome e un cognome, Matteo Renzi.
Mentre il garante genovese dei 5 Stelle potrebbe al massimo fare il guastatore dietro le linee contiane, e non è affatto detto che abbia l’intenzione e soprattutto la forza e i soldati per farlo. E già questo racconta più di qualcosa sulla partita dentro il centrosinistra, che dovrebbe raggrumarsi sul dem Andrea Orlando per tentare di riprendersi la regione in ottobre – o a novembre, se sarà election day con Umbria ed Emilia Romagna – ma che ancora non trova un’intesa.
Innanzitutto per l’elefante nella stanza, cioè Renzi, che aveva passato la campagna per le Europee a predire la morte del Pd – “È un partito finito, si scrive Schlein e si legge 5 Stelle o Cgil” sosteneva il 6 maggio scorso – e che a elezioni straperse ha invece scoperto che la segretaria dem è brava, anzi di più, e lei – incredibile? – è disposta anche a riprenderselo.
Un errore secondo mezzo Pd, un gigantesco ostacolo per il Movimento, che già deve far deglutire a tutta la sua base un’intesa in pianta stabile con i dem – se ne parlerà, eccome, nell’assemblea costituente di ottobre – ma Renzi no, proprio non può trangugiarlo. “Figurarsi se possiamo imporlo in Liguria, dove sostiene un sindaco di centrodestra a Genova e dove la nostra base è piena di attivisti della vecchia guardia” scuote la testa un big.
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