Mia madre di Nanni Moretti
Marco Giusti per Dagospia
La mamma, ovvio. E Arvo Part, che poi si pronuncerebbe Arvo Bert. E Leonard Cohen (ancora, come Sergio Castellitto). E Jarvis Cocker (meglio). Piazza Zama. Piazza Mancini con l’autobus numero 200. E Wim Wenders. La fila infinita al Capranichetta, chiuso da anni, per vedere Il cielo sopra Berlino. E Nanni che esce dalla fila per dire alla sorella regista Margherita Buy: “Fai qualcosa di diverso. Rompi almeno un tuo schema!”.
NANNI MORETTI - ''MIA MADRE'' LA MAMMA DI NANNI MORETTI apicella
Sono venti, trent’anni che aspettiamo che Nanni rompa qualcuno dei suoi 200 schemi. E John Turturro che fa l’attore americano cane, ma sembra cane sul serio, come Victor Mature in Caccia alla volpe, e poi l’abbiamo appena visto nel disastroso Tempo instabile con probabili schiarite…
Ma possiamo dire che Wenders non ci piace più, che era inutile chiamare il poro Turturro e che al Capranichetta proiettavano di schifo, tagliando metà film? E che non rimpiangiamo né le file per Wenders né il Capranichetta. E non sopportiamo più Leonard Cohen come colonna sonora di un film. Pietà.
NANNI MORETTI - ''MIA MADRE'' -
Poi, è ovvio che ci si commuova per questo suo ultimo film, Mia madre, autobiografico, ma scritto assieme a un esercito di ragazze, Valia Santella, Chiara Valerio, Gaia Manzini e al fidatissimo Francesco Piccolo, interpretato benissimo da due attrici strepitose come Margherita Buy, la regista, e Giulia Lazzarini, grande stella del Piccolo Teatro, la madre di Margherita e di Giovanni, cioè Nanni.
Più compatto, più strutturato di Habemus Papam, anche se meno visionario, meno forte come soggetto. Qua, in realtà, anche se lo firmano in quattro, non c’è un vero soggetto. Una madre che muore e i figli che la assistono che soggetto è? C’è però una grande costruzione narrativa, che è forse la cosa più interessante del film. Perché se togliamo qualche banalità e qualche caduta, legate soprattutto al film nel film, addirittura un film sulle lotte operaie, intitolato Noi siamo qui, come quelli ridicolizzate dallo stesso Moretti in Sogni d’oro, o una versione moderna di Crepa padrone, tout va bien di Godard, Mia madre è molto più complesso di quel che vuole apparire.
john turturro NANNI MORETTI - ''MIA MADRE''
Intanto i sogni di Margherita non vanno visti come sogni, ma come parti della realtà che sta vivendo. E ogni sogno o situazione che lei vive nella vita reale, diciamo, rimanda subito a una situazione specchiante nel set del film nel film, in un continuo di rimandi che formano una trama sottile di piccoli riferimenti che vanno seguiti come i sassolini di Pollicino.
Come il film che vorrebbe farle fare Turturro, coi tanti punti di vista. Ma quale sarebbe il punto di vista del film? Se la madre, vera, di Moretti, latinista e insegnante al Visconti, è “interpretata” da un’attrice, è quindi già lo specchio di un’altra persona, e talmente brava da diventare quella persona, il personaggio del figlio, nella realtà, è diviso in due, Margherita e Giovanni.
Ma la presenza di Giovanni, cioè Moretti, è talmente di doppio che, se non fosse per i suoi dialoghi di lavoro, vuole andarsene prima del tempo, potrebbe benissimo far parte dell’immaginazione di Margherita. E tutta la fissazione che ha la stessa Margherita nel chiedere sempre ai suoi attori di recitare, brechtianamente, come se accanto ai loro personaggi ci fossero loro stessi, e quindi di recitare come sdoppiati, rimanda a questo continuo gioco di specchi sia della costruzione narrativa che della protagonista.
Probabilmente non sentendosela di recitare da protagonista la propria realtà, la morte della madre e la ricostruzione del dolore provocato dalla sua scomparsa, Moretti ha diviso in due il suo personaggio, in modo da recitare finalmente secondo le proprie indicazioni, col se stesso vero, ammesso che sia vero, accanto. Fratello e ombra.
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E, va riconosciuto, tutte le scene che vedono recitare assieme Margherita e Nanni funzionano benissimo, anche perché è come se il dolore si sciogliesse o riflettesse la propria natura fra i due personaggi e solo così potesse essere qualcosa da poter moralmente essere messo in scena.
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E’ in fondo la situazione della violenza iniziale del film nel film, con la regista che si chiede da che parte stia l’operatore che vuole vedere troppo da vicino gli scontri e le botte tra polizia e operai. Lei vuole riprendere la scena da una certa distanza, non vuole stare dentro alla violenza, perché altrimenti non si capisce se uno sta con gli operai o con la polizia.
L’idea è quindi, a differenza di Amour di Hanecke, bellissimo e insostenibile, quella di scegliere un punto di vista diciamo drammaturgico della messa in scena della morte, magari cattolico. Cosa che Hanecke non farebbe mai. E la scelta funziona al punto che la scena più commovente del film non è con la madre malata all’ospedale, di fronte al dolore dei figli, ma al suo ritorno a casa, quando la mamma corregge la versione di latino alla nipotina.
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Noi sappiamo benissimo che tutto questo, dopo, non sarà più possibile. Perché perderemo lei, tutta la sua vita, la sua esperienza e la sua capacità di insegnamento. Capacità che mancano completamente alla figlia regista e a suo fratello, chiusi nel dolore personale, ma non in grado di insegnare nemmeno sul set le battute agli attori.
In qualche modo Moretti prosegue lo studio della messa in scena teatrale della vita come sopportazione delle nostre scelte morali iniziato in Habemus Papam, e forse anche prima, con tutto il bagaglio pesante del “voler tornare nella realtà”, anche se non si sa, da subito, soprattutto per chi fa di professione l’attore e o il regista, dove sia questa realtà.
La casa che si riempie d’acqua di Margherita, ad esempio, è una metafora, è un sogno, o è realtà? E la realtà del vuoto lasciato dalla morte della madre è di fatto il vuoto della sua grande libreria di testi latini. Una metafora. Anche se la realtà del suo lungo lavoro di educatrice è nella presenza dei suoi tanti studenti che ancora vengono a cercarla e la ricordano.
Mentre la regista Margherita si rende conto, sul campo, che non riesce nemmeno a trovare le facce vere dei suoi operai, che a lei sembrano troppo truccati o troppo moderni. Alla fine è un film meno autobiografico del previsto, e anche se nessuno degli schemi morettiani è stato intaccato. Buy e Lazzarini meravigliose, Nanni fa Nanni. Bene. Budget dichiarato di 6 milioni, 400 sale. In uscita giovedì 16 aprile.