Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
Non raccontiamoci storie. La clamorosa rissa scoppiata a #cartabianca tra Alberto Contri e Andrea Scanzi, a colpi di «mascalzone», «bollito», «cretino», «hai i neuroni di un cercopiteco», era una rissa cercata, voluta. La prova? L'ha fornita l'Auditel: il programma ha avuto una media superiore a 7,55%, con una media di 1.412.000 spettatori, ben sopra quella normale. In cuor suo, Bianca Berlinguer sarà stata contenta, come lo sono tutti i conduttori quando aumentano il bottino di pubblico. Il conduttore non è mai un arbitro, è un giocatore, anche quando «finge» di voler riportare la calma. Non raccontiamoci storie.
Tempo fa, a proposito dei talk pieni di «sfessati», Fedele Confalonieri aveva trovato il coraggio di dire che il re era nudo: «Il talk-show deve fare casino, sennò chi lo guarda?». In effetti, il talk show è un genere che ha fatto presto a degenerare. Non c'è talk senza trash, non c'è talk senza gli scazzi, senza gli Scanzi. Se tu inviti delle persone normali a discutere, c'è il rischio della prevedibilità, della monotonia, della noia, di un mondo chiuso dove si discute sempre delle stesse cose. La rottura sta solo nella rissa: per questo, nella scelta degli ospiti o del casting che dir si voglia, bisogna prevedere la contrapposizione, il tafferuglio, il parapiglia.
I talk si nutrono essenzialmente di tre componenti: la compagnia di giro, che significa da parte dell'ospite molta disponibilità e capacità performative (Scanzi, per esempio, lo troviamo ospite su diversi talk); la totale mancanza di controllo sulle affermazioni dei partecipanti (invito a spararla grossa); la creazione di un nemico reale contro cui scagliare il proprio dissenso. Quanta ingenuità, nei virologi, negli epidemiologi, negli infettivologi, nei medici che si occupano di pandemia e passano il tempo in tv a reclamare un confronto fra pari!
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Il virologo senza l'antivaccinaro, in termini televisivi, non esiste. Non viene invitato in un programma di medicina ma in un talk e a furia di accettare le regole del talk (il talk deve fare casino, sennò chi lo guarda?) finisce anche lui per creare non poca confusione. Nelle logiche del genere, il «discorso» significa che una parola vale l'altra e l'unica strategia è quella di spararne tante (di parole), in una escalation sempre più ridondante, in modo tale che l'ultima faccia dimenticare quelle precedenti.
Nei talk, il «discorso» ha il solo scopo di «fare opinione», di conquistare l'assenso della «gente». Chi urla più forte, chi non fa parlare l'altro, chi dà sulla voce all'avversario di solito vince. Altrimenti, chi inviterebbe mai Capezzone? Già in passato era successo qualcosa del genere con la politica che aveva invaso la tv con un lungo, ininterrotto talk, assorbendone le logiche e i linguaggi: un'anomalia non priva di conseguenze per gli attori e le forme della democrazia rappresentativa.
Il talk show è parola che si fa spettacolo, come vuole tradizione drammaturgica: è una necessaria semplificazione delle idee, è una fatale iniezione di populismo, è un esplicito incitamento alla forte contrapposizione. Non raccontiamoci storie, l'incontro di pugilato, meglio di wrestling è ogni volta in programma: più il talk è brutto, più la tv è bella.
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