Cristiana Lauro per Dagospia
In Italia viviamo per il cibo, non parliamo d’altro. Sappiamo stare a tavola, esportiamo la fama dei nostri cuochi ovunque, nelle nostre case mediamente si mangia meglio che all’estero e siamo produttori di ottime materie prime su tutto il territorio. Che bravi noi italiani! Sì, ma siamo anche dei rompicoglioni però, ammettiamolo.
Ognuno ha le sue fisse e guai a chi tocca le tradizioni! La cucina della nonna non si discute, le ricette vengono tramandate oralmente per centoquaranta generazioni, il nome del piatto è valido solo nel proprio quartiere e chi più ne metta, pur di rompere le palle con idee granitiche immutabili.
Ricordate i primi anni di Masterchef, quando il giovedì sera stavamo tutti quanti appiccicati alla TV a rimirar Bastianich, Cracco e Barbieri fra padelle, scene madri e sganassoni?
Erano divi di prim'ordine. Cracco in particolare il più desiderato dalle donne a colazione, pranzo e cena, con picchi acuti di aspirazione durante lo spuntino notturno.
Nonostante le pause solenni e lo sguardo severo, Cracco era inattaccabile. Poi però decise di mettere l’aglio nell’amatriciana e apriti cielo. Uno spicchietto d’aglio, sia ben chiaro, non lo zenzero o la salicornia, ma venne giù il mondo. Si fermò il Paese, impazzirono i social, ci furono scioperi e picchetti fuori dalle fabbriche, in diversi istituti alberghieri e manifestazioni in piazza con interpellanze parlamentari. In un batter d’occhio una massa incontenibile di permalosi imbracciò l’artiglieria mentre comprava la pizza surgelata al supermercato.
Il tradizionalista duro e puro è così, per lui nulla è perfettibile, ma tutto è sospetto. In trent'anni ha cambiato abitudini su abbigliamento, scelte politiche e gusti sessuali. Manda audio o faccette su whatsapp, ha imparato a twittare, piazza commenti con le gif su Facebook, ma se la cottura del ragù non arriva a sei ore precise è disposto a portarti in tribunale.
Ecco un breve tracciato geografico e umano di alcuni esempi di intransigenza assoluta nei confronti dei quali anche la psichiatria ha gettato la spugna.
IL CARBONARISTA
E’ convinto di sapere tutto sulla carbonara, a dire il vero non ha mai approfondito le origini e la tradizione di questo piatto avvolto nel mito.
Guancialista radicale e oltranzista, potrebbe passare le ore a schernire il nordico che usa la pancetta, a bullizzare il ristorante che ci ha messo un po’ di panna o a stigmatizzare chi taglia il pecorino con troppo parmigiano.
Mangia la carbonara solo in tre ristoranti a Roma (impossibile allargare la cerchia) e ha attivato un alert sul cellulare che scatta quando qualcuno nomina il suo piatto preferito.
Si vanta di cucinarla da Dio e solitamente è un chiodista - ovvero un maniaco della pasta al dente - che per dodici secondi di cottura in più può scatenare l’inferno.
(Se volete approfondire la storia e le origini della pasta alla carbonara e provare delle ricette con varianti creative firmate da grandi chef, vi consiglio di leggere “La carbonara perfetta”, di Eleonora Cozzella. Cinquesensi editore).
IL GOURMETTISTA
Usa solo prodotti di eccellenza, sottolineando con una certa spocchia la parola eccellenza.
È sia causa che effetto del dilagante fighettismo gastronomico contemporaneo. Quello che ha obbligato anche le trattorie più rustiche a declamare i piatti e a raccontare al cliente le abitudini fisiche e morali dei contadini. Mangia in una decina di ristoranti in tutta Italia, e non ne scopre uno di sua iniziativa manco se lo paghi. Negli anni ha trasformato le sue ossessioni modaiole - ma non il suo atteggiamento generale - passando dallo zenzero al topinambur, per finire con le patate viola.
Se al gourmettista capita di dover preparare per qualcun altro un pezzo di pane con burro e alici, quel pane sarà solo a lievitazione naturale con farine di grani antichi macinate a pietra, burro da affioramento e alici rigorosamente del Cantabrico. Cetara, adesso no. Mentre, in assenza di estranei, per uno spuntino a casa, uno snack preconfezionato dell’hard discount va benissimo.
Le sue scelte sul vino sono altrettanto modaiole quindi è maniaco dei vini “naturali”, ossessionato dai solfiti e, se ha meno di quarant’anni, beve birre artigianali. Sopra i quaranta invece va bene tutto, tanto è birra.
L'ESCLUSIVISTA
Che Napoli sia la città della pizza l’hanno capito anche gli americani (addirittura!)
I napoletani sono dei commercianti meravigliosi e riescono a condurre locali che sfornano 1500 pizze al giorno con una qualità elevatissima. Chapeau! Ma l’atteggiamento dei napoletani sulla loro specialità è un po’ fanatico. Insomma la pizza buona esiste solo a Napoli perché ci stanno il sole, l’aria e l’acqua di Napoli, le canzoni e mille altre tradizioni che nessuno si sognerebbe di attaccare. Ma non portate un napoletano a mangiare la pizza dove dite voi se non volete passare la peggiore serata della vostra vita.
D’altra parte le guerre alimentari nel nostro paese sono all’ordine del giorno, da nord a sud.
Alcuni altri esclusivisti sparsi per il nostro territorio sono: i bolognesi con i tortellini (in perenne scazzo coi modenesi per stabilire la paternità del piatto), i veneti coi risotti, i milanesi con la cotoletta, i romagnoli con la piadina (sul tema fra Cesena e Riccione volano stracci) i romani con la pasta asciutta, solo per citare alcuni esempi. E non parliamo della Sicilia dove la battaglia fra arancino e arancina assume connotati epici. Insomma, potremmo dire che l’Italia è un paese unito nella battaglia gastronomica.
IL RISOTTISTA
Si fa presto a prendere per i fondelli i miti meridionali e capitolini ma guardate che anche a Milano - e al Nord in generale - quando la faccenda sfiora i fornelli il discorso si fa serio, ad esempio se parliamo di risotto. In Veneto e in Lombardia lo fanno meglio, l’hanno capito anche i francesi (addirittura!), ma anche qui alcuni miti stanno invecchiando male.
Il risotto è un piatto di rara robustezza che ci ricorda un’Italia affamata di pietanze sostanziose e sorrisi nel dopoguerra.
Ma è proprio necessario aggiungere col badile qualche tonnellata di burro per ottenere il famoso effetto onda? Per preparare il risotto alla milanese si comincia con i grassi e si finisce con altri grassi. Sì, perché prima si soffrigge (ovviamente con il burro), poi si tosta il riso, si sfuma col vino, si aggiunge il brodo di carne un po’ alla volta e alla fine formaggio grana a valanga e il burro di cui prima. Io però, cari risottisti radicali, vi giuro che i risotti buoni si possono fare anche utilizzando qualche quintale di burro in meno.
GENOVA E IL MORTAIO
Il genovese ha la testa dura e il carattere un po’ burrascoso ma se osi affermare questa cosa, rischi la rissa. Va bene amici genovesi, mettiamola così: siete molto severi e la vostra severità si manifesta principalmente quando si parla di pesto, dove già i problemi iniziano nella denominazione “pesto genovese” contro “pesto alla genovese” (son problemi) per finire sugli ingredienti e sul metodo.
Il pesto si prepara con il basilico genovese d.o.p che è un particolare tipo di basilico a foglia piccola. Si utilizza olio extra vergine di oliva della riviera ligure e va pestato nel mortaio di marmo col pestello di legno. Se vi dovesse sfiorare la più vaga idea di andare in deroga a una sola di queste regole, siete squalificati.
Ok è vero, frullatori e minipimer aumentano la temperatura del basilico, ma non facciamone una guerra di religione!
Ovviamente anche i genovesi partecipano agli scazzi gastronomici tipicamente italiani, e infatti è meglio non dargli torto nemmeno sulla focaccia, sulla farinata, le acciughe, il baccalà, i gamberi e bla, bla, bla.
Capito come siamo messi?
E adesso con una cottura risottata vado a scuocere una carbonara al pesto genovese con olio siciliano e la metto su una base di pizza che ho fatto a modo mio. Così, per vedere l’effetto che fa.
cristiana lauro 3 cristiana lauro cristiana lauro 5 cristiana lauro 10