Estratto dell'articolo di Adriana Marmiroli per “la Stampa”
«Sono un uomo fortunato, che ha iniziato la vita con una ca***ta ma che poi ha potuto fare le cose che più gli piacevano. Un po' volute e un po' per caso». Roberto Parodi, giornalista, scrittore e viaggiatore overland, incidentalmente fratello di Cristina e Benedetta, è da alcuni anni influencer provocatorio, ironico e divertente con una milionata di follower che intrattiene sulle cose della vita, le moto, il buon cibo e i vini, gli stili di vita via social (TikTok, Facebook e Instagram). Non si tira indietro quando parla di sé, dei suoi amori e delle sue idiosincrasie, il mitico Naftona (Range Rover Anni 80 con cui si muove) e il suo vezzo di piantare alberi illegalmente.
La ca***ta di cui sopra?
«Essermi iscritto e laureato in ingegneria meccanica non avendone nessuna propensione ma solo perché venivo da una famiglia di ingegneri. Dopo tre anni in reparto alla Pirelli, ho lasciato e ho fatto un master molto esclusivo in Bocconi. Poi, ho iniziato a lavorare per banche internazionali.
Questo fino ai 50 quando mi telefonano da Mediaset».
[…] Risultato?
«È iniziata la mia seconda vita: ho ideato un format, Born to Ride, che poi è diventato Diario della motocicletta, su Rai2. Da allora, faccio il giornalista, collaborando con tante testate».
Ora siamo alla terza vita, giusto?
«Una vita che mi è esplosa inaspettatamente tra le mani quando, chiuso durante la pandemia il magazine Rider che dirigevo, e chiuso io in casa con tutte la mia famiglia (un periodo molto bello nei miei rapporti con loro), ho iniziato a mettere in rete queste pillole di video in cui ironizzavo sulle cose della vita quotidiana. Alla gente è piaciuto, sono anche iniziate le collaborazioni commerciali fatte sempre nel mio modo un po' irriverente e ironico. Vino, automotive, lifestyle».
Cosa la scatena?
«Le cose che mi fanno inca**are: i finti guru con la risposta pronta su tutto (a pagamento), chi ostenta, i Briatore e i Salt Bae, il politicamente corretto, i pedoni».
Il suo ultima provocazione riguarda il 25 aprile...
«Non provoco. Do la mia lettura di una festa che penso sia stata scippata dalla sinistra (con la destra che ha le sue colpe). Perché quel calderone di contestazioni così arrabbiate? È una festa bellissima, preziosa e molto italiana, che all'inizio univa tutti».
Come si pone in politica?
«Sono un conservatore moderato con scivolate verso l'anarchia. E ora mi farò nuovi nemici. Ma perché la destra continua con questa manfrina di non volersi dire antifascista? Hanno giurato sulla Costituzione della Repubblica, cosa gli costa? Facendolo l'opposizione si troverebbe senza argomenti. Così come nessuno avrebbe fatto caso al monologo di un intellettuale (Scurati, ndr) se non fosse stato censurato. In tv passano cose ben più radicali di quello che avrebbe detto».
Per chi voterà?
«Non trovo persone che collimino con le mie idee. Molti mi dicono di fare un partito».
Ha già pensato a un nome e a un simbolo?
«"Partito del Naftone". Teschio e due pistoni incrociati. A indicare che saremmo pericolosamente onesti».
Ci può spiegare cos'è il Naftone?
«A un certo punto ho dovuto rallentare con le moto: mi sono accorto che, se cadevo (e capita anche ai migliori), impiegavo sempre più tempo a guarire. Mi serviva un mezzo più sicuro. Questo Range Rover, affettuosamente chiamato Naftone (è un euro zero) proprio come la Harley era la Bombolona, rappresentava in modo provocatorio la mia battaglia contro la vulgata elettrica e le proibizioni che colpiscono i diesel».
Non condivide l'abbandono dei motori a scoppio?
«Continuare ad avere sempre la stessa vecchia auto è meno antiecologico del cambiarla ogni pochi anni, indulgere in questo consumismo automobilistico che a Milano ci farà rottamare dal 2025 gli Euro6. È demagogia e terrorismo. Un Euro6 inquina meno (lo scriva per favore) di una scorreggia di criceto. La gente si svena ma il problema è lungi dall'essere risolto. L'Italia è virtuosa, produce l'1,7% di emissioni globali. Stiamo mettendo a lucido in modo maniacale il nostro monolocale, mentre fuori c'è una favela con ratti e scarafaggi». […]
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