Gianmaria Tammaro per www.lastampa.it
"Certi amori non finiscono, canta Venditti; fanno dei giri immensi, e poi ritornano. E così fa “Boris”, la serie tv, che dopo essere stata messa, tolta, rimessa, condivisa, chiacchierata e citata innumerevoli volte entrando di diritto nel vocabolario dell’internauta italiano, torna ad appassionare il pubblico. Su Netflix, incredibile, è nona tra le dieci cose più viste di questi giorni. (Ed è incredibile perché è insieme a serie teen, action, a un paio di film, e a prodotti che, decisamente, non giocano nel suo stesso campionato).
“Boris” ha fatto fatica, in principio, ad avere successo. Non ce lo dimentichiamo. Quando andava in onda su FOX, era un segreto scambiato tra amici, un bisbiglio da pausa pranzo: l’hai vista?, sì?, e non è straordinaria? Il grande pubblico ci ha messo anni per scoprire e, cosa ancora più importante, per capire “Boris”. Faceva il verso alla fiction italiana, a un certo tipo di produzioni e di idee, e intanto, sottobanco, prendeva in giro tutto il resto. A cominciare, che sorpresa, dallo spettatore medio.
Con “Boris”, gli sceneggiatori sono diventati degli eroi. E non solo quelli che l’avevano scritta: Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo (che bravi, che fenomeni). Ma anche quelli della serie, i personaggi, i demiurghi del piccolo schermo, i creatori e sterminatori di infinite fantasie, infiniti luoghi comuni, infinite chiacchiere sul nulla, e meravigliose pillole di saggezza. «Questa è l’Italia del futuro: un paese di musichette, mentre fuori c’è la morte!»
paolo sorrentino in boris la serie
In “Boris”, si gira “Gli occhi del cuore”; e quindi il pantheon dei volti è pieno di registi (il René Ferretti di Francesco Pannofino), di attori (lo Stanis di Pietro Sermonti, la Corinna di Carolina Crescentini), e poi direttori della fotografia (Duccio interpretato da Ninni Bruschetta), capi elettricisti (Biascica di Paolo Calabresi), e assistenti di regia (l’Arianna di Caterina Guzzanti). La serie è una schifezza, piena di problemi, di ritardi, di pessima recitazione (il “cagna maledetta” di Ferretti/Pannofino è entrato nel linguaggio comune, e ogni tanto, anche a sbafo, si dice di questa o quell’altra attrice). Ma poi ci sono anche i camei, le comparsate, le continue ospitate di personaggi famosi che interpretano sé stessi (tra i momenti memorabili, c’è l’arrivo di Paolo Sorrentino che fa Paolo Sorrentino e che viene scambiato per Alan Sorrenti e per Matteo Garrone).
Ecco, cosa faceva “Boris”: metteva tutto insieme, mischiava, miscelava, univa l’alto e il basso (ma esistono, poi, l’alto e il basso?), era di una comicità profetica, che vedeva nel tempo, che immortalava le debolezze e le fragilità di un’industria come quella italiana, e mostrava al mondo intero, un po’ sfottendo, un po’ ironizzando, un po’ anticipando la grande fiction della televisione generalista, quello che eravamo (e, per certi versi, siamo ancora).
“Boris” era un esperimento (e anche per questo, poi, non ha avuto altre stagioni). Era figlio dell’intuizione di una rete, la FOX italiana, che ha sempre puntato sulla comedy, e di una casa di produzione, la Wilder di Lorenzo Mieli, mamma della futura Wildside. “Boris” è le luci smarmellate, è “apri tutto”, è “F4!”, è “daidaidai!”, è “la qualità ha rotto il cazzo” ed è “viva la merda!”. Che è vero: quest’eterna ostinazione nel voler dire cos’è meglio e cos’è peggio, cosa può e cosa non può piacere, è assurda, senza senso, patetica. E noi, in effetti, siamo proprio così: assurdi, senza senso e patetici.
“Boris” ci racconta la storia di un ragazzo, Alessandro, interpretato da Alessandro Tiberi, con un sogno: lavorare nel mondo dello spettacolo. Arriva sul set de “Gli occhi del cuore” come stagista ed è felicissimo, finché, poi, non scopre la verità: la magia del cinema, della televisione, non esiste; è fatica, sangue, sudore, precariato, gente che urla, gente impazzita, è la pancia del paese; è Scola che incontra Ciarrapico, Torre e Vendruscolo che rifanno, solo in parte, “C’eravamo tanto amati”. Ed è Corrado Guzzanti che s’incazza, che fa il fenomeno, che incarna splendidamente la doppiezza dell’attore-medio un po’ guru, un po’ santo, un (bel) po’ rompicoglioni.
“Boris” è una delle cose migliori – e no, non solo più belle – che siano mai state prodotte in Italia. E lo è per la libertà che hanno avuto scrittori e creatori, per l’incredibile cast che è stato messo insieme, e per quella scrittura rinfrescante come panacea, che ancora oggi ci perseguita e ci dice chi siamo. In “Boris” c’è una verità straordinaria, che in pochissimi in questi anni hanno capito (in pochissimi, sì, ma qualcuno l’ha capito): l’Italia è stata, e in parte è ancora, la sua televisione; e la sua televisione, per decenni, ha provato a copiarla, rincorrerla e anticiparla. L’Italia è un circo, proprio come è un circo la sua televisione. E siamo tutti clown: noi davanti allo schermo, e loro che ci si muovono dietro."
francesco pannofino boris boris la serie 1 stanis la rochelle boris la serie