Renato Franco per il "Corriere della Sera"
«Ci si guarda indietro... E siamo già vecchi». L'ironia è il codice di rappresentazione con cui Aldo, Giovanni e Giacomo hanno attraversato 30 anni di storia del teatro, del cinema e della tv.
Eppure gli inizi - come quasi sempre succede - non furono un garage americano e una strada in discesa. Giacomo: «Agli esordi ci avevano bocciato alcuni personaggi, fanno schifo, dicevano. Erano i bulgari». Ovvero uno strepitoso successo.
«Anche per Tafazzi la stessa cosa, ci dissero di andare a farlo all'oratorio. Invece lì le follie erano ben viste, la tv all'epoca era bellissima». Lì, ossia Mai dire gol. Aldo: «I tre della Gialappa cercavano sempre di stimolarci, anche loro un trio e una grande affinità che ci legava. In quanti se proponi di fare il geco attaccato al muro, ti rispondono: sì dai organizziamo».
Tra i tanti spettacoli cosa vi rappresenta di più? Giovanni: «Il teatro più di cinema e tv, per il suo meccanismo immediato con il pubblico, quindi I corti, Tel chi el telùn sono stati i progetti più esaltanti. Il cinema è diverso, alla fine sei quasi condizionato dal successo che ha decretato il pubblico. La tv invece è stata il palco delle grandi follie. A Mai dire gol dovevamo lavorare in pochi minuti. Lì abbiamo vissuto i momenti più euforici e folli, divertenti».
Eppure, anche lì, mica facile: «Appena siamo entrati a Mai dire gol hanno cercato di cacciarci. La Gialappa ci voleva, ma qualcun altro - non ci ricordiamo proprio chi fosse... - remava contro. Ci hanno tenuto per qualche ora in un limbo di attesa, 5 ore in un bar di Milano 2. Abbiamo resistito. E questa è una delle fortune di essere in tre, perché magari uno da solo se ne sarebbe andato».
Le decisioni a maggioranza, ma non solo. Ancora Giovanni: «Il meccanismo era doppio: o si decideva a maggioranza o uno era così bravo da convincere gli altri a farsi seguire. C'è anche il proverbio: chi fa da sé fa per tre. Ecco, non è il nostro caso, per noi è il contrario».
Sempre in sintonia, qualche lite composta sempre all'interno. Aldo: «Siamo sempre stati una squadra ben rodata, tra di noi, e poi con Paolo Guerra (il loro storico produttore) e Massimo Venier (il regista). Ci si fidava perché avevamo obiettivi comuni. Piccoli screzi ci sono sempre stati. Anche grossi - ma non ci ricordiamo nemmeno questi».
Giovanni: «La verità è che abbiamo una sensibilità artistica molto simile, questo è stato il collante che ci ha tenuto insieme: se a uno piace il non sense e un altro preferisce la comicità fisica non c'è possibilità, si rompe subito il meccanismo. Invece noi abbiamo tante affinità. E poi siamo amici, ci piace stare insieme».
Per festeggiare il 30° anniversario della loro carriera il trio ha scelto il canale Nove: due serate speciali inedite (Abbiamo fatto 30..., in onda in prime time il 21 e il 28 novembre; e in anteprima su Discovery+ da domani) insieme ad Arturo Brachetti (nel ruolo di conduttore-intervistatore) con aneddoti, gag, improvvisazioni, segreti e retroscena di 30 anni di televisione, cinema e teatro.
Qual è lo stato di salute della comicità oggi? «Un tempo c'era più fermento, più voglia di essere liberi e visionari. Se noi fossimo nati adesso probabilmente non saremmo emersi...».
Giovanni: «Io avrei fatto il giardiniere». Aldo: «Io l'aiutante del giardiniere». Giacomo: «E io avrei continuato a lavorare in ospedale... La differenza è che noi costruivamo lo spettacolo anche seguendo le reazioni del pubblico; adesso il like è troppo freddo, è un sì o un no, non dialoga con te. Negli anni 80 c'erano locali dove il pubblico si divertiva a insultarti, a tirarti le monetine. Anche quello era formativo».
Fondamentali le monetine. Senza il «grano» di Giovanni questa storia forse non sarebbe stata scritta: «Se non avesse investito lui 5 milioni di lire nel nostro progetto non saremmo mai esistiti. Cinque milioni, era tutto ciò che possedeva». Giovanni: «Sono stato lungimirante. Questo mi permette di avere ancora il 34% dei guadagni...».
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