Estratto dell'articolo di Gino Castaldo per "la Repubblica"
Povero Cd, com’è invecchiato male. In fondo ha solo 42 anni e sembra decrepito, finito, prossimo all’estinzione. […] Di terremoti ce n’erano già stati. L’anno prima Mtv aveva iniziato le sue trasmissioni lanciando l’era dei clip musicali, ma era nulla a confronto del Cd che osava attaccare il re in persona, il vinile, dopo un incontrastato e lunghissimo regno.
L’attacco fu portato nel segno di una parola magica che all’epoca aleggiava su tutto: “digitale”, e in quel caso voleva dire che la musica, dalla sua natura squisitamente analogica, perfettamente riprodotta dai dischi tradizionali, poteva passare alla più completa digitalizzazione.
È stato un bene o un male? Direi tutto sommato un male, ma andiamo per ordine. Il problema era che l’analogico è sottoposto all’usura, col tempo si deteriora. […] Ma il digitale no, nasce con la pretesa di essere immortale in quanto riducibile a una serie di sequenze numeriche. E così immaginarono un nuovo supporto, il Compact Disc per l’appunto, su cui erano incise delle sequenze che potevano essere tradotte da un lettore ottico senza alcuna possibilità di deterioramento. Sorvoliamo sul fatto che, come ogni possessore di Cd sa benissimo, questa promessa era in parte bugiarda, ma non è questo il punto.
La musica entrava di fatto in una nuova era. Il primo ottobre del 1982 apparve nei negozi il primo lettore di Cd, con allegato un disco di Billy Joel, 52 street, ma il primo a essere messo in vendita autonomamente fu The Visitor degli Abba. Il primo shock fu puramente visivo. Abituati ai padelloni del vinile […] le copertine dei Cd sembrarono delle punitive miniature, non c’era spazio, le scritte erano piccole e illeggibili, ma i vantaggi erano evidenti.
I Cd erano piccoli e maneggevoli, non si rovinavano, la musica era riprodotta in modo perfetto, e potevano contenere un minutaggio doppio o triplo rispetto ai vecchi dischi. Nell’euforia del momento sfuggì a tutti che il problema era proprio la digitalizzazione in sé. […] La versione digitale di una musica equivale a un impercettibile ma sostanziale raffreddamento, a una perdita di autenticità.
Se dopo anni di ascolto digitale vi capita di ascoltare un vinile la differenza salta agli occhi, anzi alle orecchie: se ascoltate un vinile avrete la netta sensazione che lì ci sia qualcuno a suonare per voi, col digitale no. Insomma potremmo quasi azzardare che il Cd sia stato l’inizio della fine, l’inizio di quel processo che ha piano piano tolto centralità alla musica. […]
Insomma povero Cd, supporto per sua natura transitorio, di cui si intravedeva la fine già alla sua nascita, destinato a essere incolpato di ogni male e infine sostituito dal trionfo di quella stessa cultura digitale che lo aveva generato, ovvero la liquidità, la non essenza, l’incorporeità assoluta.