Estratto dell'articolo di Aldo Grasso di “Sette – Corriere della Sera”
Nessuno avrebbe mai immaginato un simile successo di ascolti per una pubblicità, tutto sommato, abbastanza tradizionale. Eppure, lo spot della Esselunga, quello della pesca, ben presto è diventato un caso politico. […] non era mai successo che un primo ministro intervenisse per dare il suo giudizio. Vieni a spiegare questo enorme successo dello spot e della sua alta visibilità? Molti siti di informazione e opinion leader in rete hanno ripreso e rilanciato il dibattito sull'opportunità di trattare il divorzio nella pubblicità, in un perfetto (e imprevisto) gioco di specchi fra tv, rete e social.
Poi è apparso il famoso post della premier Giorgia Meloni […] cui è seguito a ruota quello di Matteo Salvini. E così, per alcuni giorni, il dibattito politico è stato “saturato” dalla pesca. Morale della favola: lo spot ha rimesso, per una volta, la pubblicità al centro. E lo ha fatto quasi involontariamente: nell'epoca in cui ogni provocazione sembra lecita, la quasi normalità fa scandalo.
Per trovare in Italia un vero scandalo nel mondo della pubblicità bisogna fare un passo indietro. Siamo nel 1973 e Oliviero Toscani firma, nel suo stile inconfondibile, le pubblicità dei jeans a marchio italiano Jesus assieme ai copywriter Emanuele Pirella e Michael Goettsche dell'agenzia Italia. […] la campagna si compone di due immagini con relativo reclamo. La prima riprende il busto androgino di un modello con i jeans sbottonati che lasciano intravedere in penombra il pube senza biancheria e recita: «Non avrai alcun jeans all'infuori di me». La seconda mostra le native semicoperte della modella Donna Jordan. Lo slogan recita: «Chi mi ama, mi segue».
BLASFEMIA
La pubblicità dei jeans Jesus, che nasce come un gioco irriverente e provocatorio, genera scalpore e la storia si tinge di censura da parte di magistratura, politica, cultura e ovviamente della Chiesa. […] In realtà, la frase «Chi mi ama mi segua» non è una citazione dal Vangelo ma un'esortazione pronunciata dal re francese Filippo il Bello durante una battaglia. Quella del Vangelo di Matteo dice: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua».
Il 17 maggio 1973, l'Osservatore Romano taccia tutta la campagna ei suoi ideatori di blasfemia. Il giorno seguente, alla sede di Agenzia Italia si presenta un maresciallo della Buoncostume, sumandato del pretore palermitano Vincenzo Salmeri, per sequestrare i manifesti e le fotografie relative alla pubblicità. Ricorda Oliviero Toscani: «Perché i tempi erano quelli. […] Per giorni fummo accusati di tutto dieci, e meno male che non c'erano i social. Poi, una mattina, Maurizio Vitale mi telefona tutto contento: “Oliviero, vai a comprare il Corriere, c'è un articolo di Pier Paolo Pasolini che ci difende”. Aveva scritto che il Gesù dei jeans batteva quello del Vaticano. Da quel giorno cambiò tanto, in Italia».
[…] Cosa scrisse Pier Paolo Pasolini? Con il suo articolo intitolato Il folle slogan dei jeans Jesus, pubblicato il 17 maggio 1973 e poi riportato anche nella raccolta Scritti Corsari con il nuovo titolo di Analisi linguistica di uno slogan, Pasolini condannava l'impudicizia dello spot del marchio di pantaloni e profetizzava un uso sempre più dissacrante e sconveniente delle pubblicità, senza alcun rispetto per i valori prestabiliti, come segno di una corruzione morale dilagante.
[…] Pasolini conduce una battaglia tutta sua nel nome dei jeans. Vuole spiegare ai lettori del Corriere che la Chiesa ha perso la battaglia contro il neocapitalismo, il cui spirito «è il nuovo spirito della seconda rivoluzione industriale e della conseguente mutazione dei valori». E se il «tono piagnucoloso e perbenistico» dell'articolo dell'Osservatore nasconde «la volontà Minacciosa del Potere», in realtà il neocapitalismo, il Nuovo Potere, può fare benissimo ameno della Chiesa: «Per la religione e soprattutto per la Chiesa non c'è più spazio».
OLIVIERO TOSCANI - CAMPAGNA PUBBLICITARIA JESUS JEANS
La Chiesa è come le lucciole, nell'orizzonte visivo di PPP è ormai scomparsa. Com'è sparito, per lui uomo di cinema, ogni riferimento estetico alla foto di Toscani. Nel suo disprezzo per il nuovo potere prodotto dalla pubblicità, quello di cui Pasolini non ritiene opportuno occuparsi è che da sempre la donna è stata un'abusata metafora del prodotto reclamizzato, uno stimolo all'immaginazione, una fonte per creare bisogni; dai tempi in cui, agli albori del Novecento, i primi cartellonisti guardavano alle affiche parigine di Toulouse Lautrec come all'eden della creatività.
Nel 1905, Marcello Dudovich per cantare le lodi delle Terme di Porretta disegna una Najade con seno scoperto. Ma la pubblicità, in materia sessuale, può procedere solo per garbate allusioni, riferimenti «artistici», richiami subliminali: i corpi nudi maschili della Ferro China Zanardi, le splendide gambe delle Calze Rayon, i seni al vento dei profumi Paglieri.
Il fascismo prima e la Dc dopo vegliano sui buoni costumi degli italiani. Quando scoppia il boom della pubblicità, la Rai inventa Carosello e attorno a questo formidabile propulsore economico costruisce un recinto dorato, con tanto di sipario, trombe e mandolini. Guai a parlare di sesso, guai a mostrarlo. […] Per il resto siamo nel regno di Papalla, Calimero e Jo Condor. Come abbiamo descritto, le immagini shock arrivano solo intorno agli Anni 70 con la campagna dei jeans Jesus.
[…]Gian Luigi Falabrino nella sua storia della pubblicità Effimera e bella (Silvana ed. 2001) racconta di altre piccole rivoluzioni sessuali: «Il reggiseno imbottito della Playtex Ampliform si definisce “a prova d'abbraccio”. “Aumenta il tuo seno in modo così naturale… che neanche lui se ne accorgerà”. La crema depilatoria Depiflor si presenta con il titolo “A prova di carezza”. […] Vidal profumi, invece, senza sottgliezze né allusioni, dice a uomini e donne che “prepara ai grandi incontri: Deodal nel corpo a corpo”».
LA SESSUALITÀ
Nel trionfo della forma si esaltano i corpi e la sessualità. Da questo punto di vista esemplare è la campagna Wonderbra. Come cantavano i Beatles: «Ob-la-di ob-la-da, Life goes on bra», la vita scorre sul reggiseno. E cosa c'è di meglio di un reggiseno che promette aiuti seducenti a tutte le donne, mostrando loro come vincere le leggi di gravità?
Ogni moda realizza un compromesso linguistico, un accordo tra una necessità innovativa e il desiderio di ordine; è un gioco, ed è affascinante se rimane racconto. In passato le femministe bruciavano il reggiseno e Mary Quant teorizzava il no-bra, il «dolce niente»; poi, invece, un reggiseno ovatta l'insicurezza di molte donne, l'ansia di mostrare, allo stesso tempo, voglia di voluttà e di maternità.
A Hollywood la leggendaria Mae West chiedeva a un suo partner «Hai una pistola in tasca o sei solo contento di vedermi?», sulle strade di tutta Europa Eva Herzigova, carrozzata Wonderbra, ammicca il viandante con una citazione d'autore: «Or are sei proprio contento di vedermi?».
L'epica della trasgressione (nel frattempo, con il passare degli anni la trasgressione è diventata normalità) nasconde in realtà una narcisistica cura di sé, sollecitata di continuo nei comunicati di alcune categorie merceologiche: l'individuo non si occupa più del mondo ma esige che il mondo (la casa, l'auto, il proprio bagno) si occupa di lui. Ecco perché la pratica più diffusa è stata quella della cinica ostentazione: di quello che si fa e si dice, di quello che si ha e si è. Tutto questo prima dell'avvento dei socialmedia.
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