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Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
Su Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble, in arte Il Volo, il trio canoro nato anni fa a «Ti lascio una canzone», il programma condotto da Antonella Clerici, esistono due scuole di pensiero: chi li ama e chi li detesta.
I primi esaltano il loro successo mondiale (...)
I secondi parlano di «giovani-vecchi», di cantori di «un’Italia tarocca vista dall’America», di ultimi rappresentanti del cliché del belcanto «dal quale vorremmo staccarci da mezzo secolo e (loro) rischiano di farci tornare indietro, almeno come percezione collettiva».
Dall’Arena di Verona (il «covo» del sottosegretario Gianmarco Mazzi) Canale 5 ha dedicato due serate a Il Volo: con loro c’era anche un volto della rete, Federica Panicucci, vestita come una ragazzina (si può ancora dire?). Il Volo, parliamo al singolare, è quello che è, personalmente non andrei mai a sentire un loro concerto, nemmeno mi trovassi in America o in Nuova Zelanda, ma questo non c’entra. Aggiungo che nessuno dei tre è capace a intrattenere il pubblico, il che è abbastanza grave (ma forse all’estero si accontentano).
Mi ha molto colpito l’esibizione di Gianna Nannini, quella che nelle canzoni dice di metterci «tutta la rabbia del mio rock», quella che quando sale su un palco sembra una «rocker maledetta», quella che con un giubbotto di pelle nera ti graffia con la sua voce.
Ebbene, «quella Giannini» (ma prima di lei era toccato a Francesco de Gregori, e dopo a Giuliano dei Negramaro) ha condiviso le sue canzoni con i gorgheggi dei tre tenorini, creano un effetto kitsch esilarante. Non in senso moralistico (cattivo gusto), ma linguistico, quel kitsch che pretende di rappresentare la spregiudicatezza con effetti facili e banali, che impone all’artista non un «buon» lavoro, ma un «bel» lavoro. Ciò che le importava era il bell’effetto, l’applauso del pubblico «da Arena».
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