Gino Castaldo per \"la Repubblica\"
Frank SinatraTutto si può dire di loro tranne che non fossero degli autentici «bravi ragazzi». Erano generosi, spendaccioni, perfino premurosi e affettuosamente amici delle centinaia di ragazze che passavano nei loro letti. Magari bevevano alcol in quantità industriale, frequentavano troppo da vicino mafiosi di prima grandezza, scambiavano favori con mezza America, garantivano protezione alle scappatelle erotiche di John Kennedy, avevano qualche affaruccio in corso nei casinò di Las Vegas, e negli anni d´oro del gruppo facevano il bello e il cattivo tempo nello show business. Ma che sarà mai di fronte alla grandiosa e alluvionale bellezza dei loro spettacoli? Di quali peccati si può parlare quando ci sono in ballo almeno tre delle più grandi stelle che abbiano calcato i palcoscenici americani?
In realtà la storia del Rat pack, i cui maggiori protagonisti furono Frank Sinatra, Dean Martin e Sammy Davis Jr., è un romanzone a tinte forti, una storia di ribalderie senza fine che mescola sesso, politica, criminalità, star system, in un melange esplosivo che non ha mai avuto eguali nella storia, come ci rivela, con dovizia di particolari il libro Rat pack, quei bravi ragazzi del sogno americano, di Javier Marques (in uscita nei prossimi giorni per l´editore Castelvecchi).
La culla del micidiale gruppo fu, all´alba dei Cinquanta, la casa di Humphrey Bogart e Lauren Bacall a Beverly Hills. Furono loro a calamitare gli artisti ribelli, quelli che si annoiavano a feste ingessate e convenzionali, che volevano godersela in feste senza fine e setacciavano i più divertenti, edonisti, e politicamente scorretti tra quelli che bazzicavano le colline delle star intorno a Los Angeles. Fu in casa loro che si incontrarono Dean Martin e Frank Sinatra, e fu lì che una volta Lauren Bacall entrando nel salotto dove bivaccavano fino all´alba i gaudenti di turno inventò la famosa definizione: «Sembrate davvero un maledetto branco di topi». Un Rat pack, per l´appunto. Più tardi fu lo stesso Sinatra a consolare la Bacall quando Bogart morì di cancro, stavano quasi per sposarsi, ma i maligni sostengono che la loro relazione fosse iniziata molto prima, quando Bogart era ancora vivo, anche se irrimediabilmente malato. A ucciderlo furono proprio le sigarette che ostentava nelle sue pose più celebri.
Peter LawfordSinatra, in quelle feste rutilanti e senza inibizioni, scoprì la sua vera vocazione, oltre naturalmente a quello di showman. Era sinceramente intenzionato a vivere perennemente tra amici, in una sorta di party senza fine, esagerato, instancabile, voluttuoso e ovviamente altamente peccaminoso. Fu lui il vero motore del Rat pack soprattutto quando, dalla fine degli anni Cinquanta, si strinse il sodalizio con Martin e Sammy Davis. Era lui a spingere sempre più in là il tiro del divertimento, era lui quello che non accettava dinieghi da nessuno, che caricava tutti in aerei riservati per cambiare città e continuare la festa altrove, era lui quello che gestiva il flusso ininterrotto di ragazze. Fu lui il grande cerimoniere, l´ideatore degli spettacoli a Las Vegas che hanno fatto epoca, quando con Dean e Sammy, Peter Lawford e Joe Bishop travolgevano il pubblico con canzoni, gag, prese in giro a ritmo vertiginoso, in un caos di entrate e uscite, battute fuori quinta, interruzioni delle canzoni, in un anarchico ed esilarante caos che non si era mai visto prima di allora su un palco, e che mandava il pubblico in visibilio. Prendevano in giro Sammy Davis perché era nero ed ebreo, prendevano in giro Dean Martin per il suo vizietto alcolico, non c´era nulla di corretto, a patto che le battute fossero tra di loro, tra amici. Se un estraneo si fosse permesso di sfottere Sammy Davis avrebbe dovuto fare i conti col lato più intollerante di Sinatra, il vero capo, il trascinante leader del branco di topi.
Per quanto riguarda Martin, l´idea del beato ubriacone fu dello sceneggiatore Ed Simmons, fu lui a ideare la celebre frase che divenne il marchio di fabbrica del cantante di origini abruzzesi: «Signore e signori, direttamente dal bar, Dean Martin». Era il marzo del 1957, all´hotel Sands di Las Vegas, e Martin stava disperatamente cercando di scrollarsi di dosso il periodo di incertezza e scarso successo seguito alla rottura del suo famoso binomio con Jerry Lewis. Il cantante uscì sul palco col bicchiere in mano, si diresse verso il direttore d´orchestra e con la voce impastata gli chiese: «Cosa ci fa tutta questa gente nella mia camera?». Fu un trionfo e da quel momento la sua carriera prese il volo, per non fermarsi mai più. Poi incontrò Sinatra, il quale fu il più generoso degli amici. Si offese mortalmente quando in diverse occasioni sia \"Dino\" che Sammy lo tradirono ma, passato del tempo, li perdonava a patto che rientrassero sotto la sua ala protettiva.
Sammy DavisI guai cominciarono intorno alla fine degli anni Cinquanta, proprio perché Sinatra non era il tipo a cui piacesse sentirsi dire cosa doveva fare o non fare. Tutti e tre si erano trovati per motivi ambientali o spettacolari a contatto con i \"ragazzi\" della mafia. Ma, mentre gli altri due si limitavano ad accontentare qualche richiesta che gli arrivava da quella parte e più che altro cercavano di destreggiarsi senza compromettersi più di tanto, Sinatra cavalcò quei rapporti con audacia e disinvoltura.
Si legò soprattutto a Sam Giancana, uno dei dodici grandi capi della mafia americana, si dice fin dal 1953, al tempo in cui, in uno dei suoi momenti bui, quando correva dietro alla gonna di Ava Gardner e nessuno lo voleva più in giro, si mise in testa, e aveva perfettamente ragione, che per riscattare la sua carriera gli serviva la parte del soldato Maggio nel film Da qui all´eternità di Fred Zinnemann. Né il regista né il produttore volevano sentir parlare di lui. Lo detestavano, ma chissà come cambiarono idea e Sinatra ebbe la parte con cui vinse l´Oscar. Si tratta del famoso episodio che Puzo anni dopo inserì ne Il padrino, quando al produttore recalcitrante viene recapitata nel letto la testa del suo cavallo preferito.
Ma i veri guai cominciarono quando Sinatra, su richiesta del patriarca dei Kennedy, Joseph, usò tutti i mezzi possibili per aiutare John nella sua campagna elettorale. Tra questi \"mezzi possibili\" c´erano anche le sue amicizie mafiose, e ovviamente Giancana. L´amicizia con i Kennedy era stata propiziata da Peter Lawford, sposato a una Kennedy, e per John il Rat pack fu una comoda via d´uscita dalla pressione e dagli impegni della agenda politica. Era noto per avere un appetito sessuale insaziabile e la protezione di Sinatra gli permise di godere frequentemente di scappatelle sicure. Celebre quella con Marilyn, che era già passata più volte nel letto di Sinatra, il quale si comportava comunque da buon amico. Molto meno nota è quella con Judith Campbell, una relazione che John Kennedy trascinò a lungo e si portò fin dentro la Casa Bianca, ovviamente quando Jackie era in viaggio. Peccato che la fanciulla avesse il dubbio merito di intrattenere nello stesso periodo una relazione con Sam Giancana. Su questa vicenda si sono fatte le più incredibili fantasticherie, tra cui quella che la ragazza fosse il contatto segreto tra i due, anche a proposito di un presunto complotto ordito per sopprimere Fidel Castro.
Vero o non vero, John giocava col fuoco e, forse in un sussulto di pentimento, diede carta bianca al fratello Bob nella sua lotta senza quartiere alla criminalità organizzata. John a quel punto prese le distanze anche da Sinatra, finito nel mirino della Fbi di Edgar Hoover, e il vecchio \"Blue eyes\" si offese mortalmente. Fu per questo che anni dopo appoggiò la candidatura di Reagan a governatore della California. Pura vendetta, perché di sicuro, tra i suoi tanti difetti, Sinatra era sempre stato un sincero democratico, si arrabbiava quando il gruppo veniva definito \"Clan\", perché gli ricordava il Ku Klux Klan, aveva in ogni modo difeso Sammy Davis dai pregiudizi che ancora rendevano difficile la carriera di un nero ai piani alti del mondo dello spettacolo. Aveva anche apertamente appoggiato il suo \"scandaloso\" matrimonio con la svedese May Britt (anni prima aveva rinunciato a sposare Kim Novak) tranne chiedergli di spostare la data del matrimonio a dopo l´elezione di Kennedy, perché prima avrebbe potuto creare problemi: essere strumentalizzato dalla stampa che voleva boicottare l´ascesa del giovane presidente.
Il fatto è che Sinatra frequentava mafiosi perché spesso si comportava come loro, ne condivideva il codice d´onore e anche il senso di onnipotenza. Nessuno poteva dirgli di no, e il libro cita una divertente frase pronunciata da Gene Kelly: «Frank era un tipo gentile e generoso. Se gli dicevi che ti piaceva la sua cravatta, te ne mandava una eguale. Se gli dicevi che ti piaceva il suo vestito, il giorno dopo ne ricevevi uno a casa. Se gli dicevi che ti piaceva la sua ragazza, il giorno dopo venivano a farti visita due scagnozzi di nome Carmine e Nunzio». Poteva tranquillamente essere una delle battute che i ragazzi del Rat pack si scambiavano di continuo tra di loro. La particolarità unica del gruppo è che non lo facevano solo alle loro feste private, lo facevano sul palco. Quando Sinatra cantava «what is this thing called love?», cos´è questa cosa chiamata amore?, si sentiva la voce di Dean Martin che diceva: «Beh, Frank, se non lo sai tu, allora siamo davvero fritti».