Luca Giampieri per “La Verità” - Estratti
calà de laurentiis vanzina vacanze di natale
«In questi giorni ho avuto modo di riflettere molto sulla commedia, e c’è una frase di Chaplin che continua a ronzarmi nella testa: “La vita è una tragedia in primo piano, ma una commedia in campo lungo”. La trovo bellissima. La commedia mette una distanza e ci aiuta a sorridere di ciò che sappiamo essere tragico».
Interpellato a più riprese come un oracolo nel quarantesimo anniversario dall’uscita nelle sale del film Vacanze di Natale, scritto insieme al fratello Carlo, Enrico Vanzina si trova suo malgrado, e con una punta di fisiologica insofferenza («Sono un po’ stufo di parlarne, lo scriva pure»), a discutere di un lavoro che da un lato ha rappresentato una grande fortuna professionale e dall’altro ha contribuito a distorcere i contorni di una delle coppie più longeve del cinema italiano.
In pochi hanno contezza del fatto che i fratelli dei «cinepanettoni» (definizione che riesce a irritare lo sceneggiatore romano e romanista quanto una maglia della Lazio indossata sulla pelle nuda), hanno firmato soltanto due delle innumerevoli pellicole sulla villeggiatura invernale presenti nella filmografia nazionale. L’unico torto, se di torto si può parlare, è di avere dato vita a un genere, quello dell’instant movie, che nei decenni a venire sarà spremuto e spogliato del suo dna fondante, ossia il racconto degli usi e dei costumi italici visti attraverso la lente di due festività sacre: Natale e Capodanno.
Quante volte le sarà toccato rivedere il film, in questi 40 anni?
«Tra le varie ricorrenze, almeno una ventina; cosa che è capitata anche con altri film che ho fatto. Quello che mi colpisce ogni volta di Vacanze di Natale, però, è che la sensazione nel rivederlo è sempre la stessa: non c’è un distacco del tempo, sembra fatto oggi».
(...)
Non cambierebbe proprio nulla?
«Non è che non cambierei… non saprei farlo in maniera diversa. È come se lo avessi finito ieri mattina. Mi fa pensare a Benjamin Button: un film nato vecchio che col tempo diventa sempre più giovane».
Forse anche perché, visto sotto l’aspetto del linguaggio, contiene espressioni entrate a tutti gli effetti nel gergo comune? Penso a «Levateje er vino», o «Anche questo Natale se lo semo levato dalle palle».
«È lo stesso meccanismo che si era verificato con Sordi. Sordi ha osservato gli italiani, poi gli italiani hanno osservato lui che guardava loro. E hanno cominciato a imitarlo».
(...)
E infatti sono presenti tematiche sociali rese in una manciata di fotogrammi. Su tutti, forse, quello scambio nevrotico di regali a casa Covelli, il giorno di Natale, con le domestiche filippine che osservano attonite e un po’ tristi.
«Mi viene in mente Lubitsch; per lui il cinema era immagini, parole e musica. Ecco, a me riuscirà due volte su dieci, ma quando con le immagini riesco a evitare le parole è una vittoria. E nella sequenza che ha citato si capisce esattamente che tipo di famiglia si ha di fronte, in che momento storico ci troviamo; c’è il consumismo che ha travolto tutto, le differenze sociali. È come il cinema muto: racconta tutto senza bisogno di spiegare niente».
È la Cortina dei parvenu, dei piccolo borghesi e dei proletari. Anche se i cafoni arricchiti descritti nel film sembrano una pallida controfigura di quelli odierni. Siete stati troppo ottimisti?
«Mah, insomma… forse da allora le cose sono un po’ peggiorate. Vacanze di Natale ritrae una borghesia che cominciava a perdere di vista l’essere per concentrarsi sull’avere».
jerry cala alla festa dei 40 anni di vacanze di natale 6
Eppure, in quel microcosmo tra le Dolomiti, i «torpigna» si mescolavano coi ceti abbienti. Oggi questo è un fenomeno raro.
«Lo è per una questione di soldi. In questo momento l’unica cosa che tira veramente dal punto di vista economico è l’industria del lusso. C’è questa popolazione di milionari veri, minoritaria ma detentrice del 70 per cento della ricchezza mondiale, che si muove spendendo cifre astronomiche. Ciò ha comportato che posti come Capri, Cortina o la Sardegna sono stati fagocitati dal lusso e hanno perso la loro anima popolare. Arrivarci, per le persone senza grandi disponibilità economiche, sarà sempre più difficile. La classe media, che era la spina dorsale del nostro Paese, non esiste più».
Quella del 1983 era un’Italia che si stava incafonendo, ma che andava a stare meglio rispetto alle generazioni che l’avevano preceduta. Un’Italia in crescita, a differenza di quella attuale.
«Sa cosa diceva il mio padrino di battesimo, Marcello Marchesi, uno dei più grandi umoristi italiani tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta? “Quando il benessere bussa alle porte, poveri e ricchi tenetevi forte!”».
Un po’ come dice Roberto Covelli al padre verso la fine del film: «Papà, a te t’ha fregato il benessere». Non sarà che tutto questo benessere ci ha fregato davvero?
«Mah, in realtà no. Si vive di più e si vive meglio, i ragazzi studiano di più, le donne lavorano di più. Se preso bene, col benessere si migliora».
In quella scena si scopre anche la bisessualità del rampollo romano interpretato da Christian De Sica, che «castiga» la straniera e va a letto col maestro di sci autoctono. Già si parlava di fluidità di genere.
«Ecco perché prima le dicevo che sembra un film fatto oggi. Le parole pronunciate da Christian potrebbe scriverle uno sceneggiatore contemporaneo, solo che io l’ho fatto 40 anni fa. Quando dice “Mamma, sono moderno” lui non se ne fa un cruccio, è andato già oltre. Sono i genitori a non capire».
Poi dice che la commedia italiana di quel periodo era retrograda e sessista.
«Questo tappa la bocca a tutti. Poi è una cosa involontaria, mi uscì così perché la sentivo e la pensavo in quel modo già allora».
Non voglio farle la solita domanda sul linguaggio scorretto e sui film che oggi non si potrebbero più fare. Però le chiedo una previsione sul politicamente corretto: lo vede più come una nube passeggera o come uno step culturale dal quale non si torna indietro?
«In realtà, insospettabilmente, io guardo con un certo favore al politicamente corretto. C’è tutta una massa di persone, cresciute con determinati pregiudizi, che adesso si trova a dover fare i conti con qualcosa da modificare dentro sé stessa. Però questo politicamente corretto va calibrato affinché non diventi una gabbia espressiva».
(...)
Senta, ma è vero che prima dell’uscita nelle sale, alla fine della prima proiezione privata di Vacanze di Natale, il produttore Aurelio De Laurentiis, non capendo il potenziale del film, sbottò esclamando «Abbiamo sbagliato tutto!»?
«Non è che non capì… rimase spiazzato. All’improvviso si ritrovò un prodotto finito, con un cast di ragazzi che stava per uscire contro Celentano e Sordi. Anche per noi che facciamo il cinema, quando si vede un film appena fatto in una saletta è difficilissimo prevedere come andrà. Quando lo vedi insieme al pubblico che ha pagato il biglietto, allora lì capisci tutto. Personalmente, le posso dire che con Carlo avevamo un unico grande dubbio mentre scrivevamo Vacanze di Natale venendo dal successo di Sapore di mare».
Cioè? «Che l’estate è da commedia, ma l’inverno non lo sapevamo che era da commedia. La grande commedia balneare è stata mitica, esiste tutta una letteratura. Noi invece ci chiedevamo: ma farà ridere questa roba sulla neve?».
vacanze di natale 1 vacanze di natale 10 VACANZE DI NATALE carlo enrico vanzina christian de sica vacanze di natale 5