Marco Giusti per Dagospia
Chi ha letto il libro, “Leggere Lolita a Teheran”, il romanzo autobiografico di Azar Nafisi, un grande successo internazionale che da noi venne pubblicato da Adelphi, non avrà molto da ridire di questa versione cinematografica, interamente girata a Roma in studio dall’israeliano Eran Riklis, il regista di “Il giardino dei limoni”, con una ricostruzione delle Teheran virtuale di venti trent’anni fa, che fa comunque il suo effetto. Certo. Non è la stessa cosa di girare il film nella vera Teheran.
Ma penso che sia un compromesso accettabile con la realtà. Ma la vera risorsa del film, coprodotto dal regista e dal nostro Gianluca Curti, è il cast, capitanato da una stupenda Golshifteh Farahani, vera star iraniana in esilio, nel ruolo della protagonista, Azar Nafisi, che racconta la trasformazione di Teheran dopo l’avvento di Khomeini e il suo tentativo di poter insegnare letteratura inglese, i grandi classici da Nabokov a Jane Austen a Fitzgerald alle studentesse iraniane.
Ma sono fantastiche anche le altre ragazze che seguono i suoi corsi, Zar Amir Ebrahimi, Mina Kavani, Catayoune Ahmadi. Sono loro a portare la realtà delle loro storie di esuli nel film, che ha un limite nella messa in scena laboriosa della ricostruzione di una città e del suo mondo, limite che non ha, ad esempio “Queer” di Guadagnino, costruito nello stesso modo, ma che ci porta in un Messico letterario. Qui siamo dentro una realtà dove la letteratura è un pretesto per parlare di libertà e per uscire dall’orrore della dittatura religiosa.
Al di là di tutte le possibili letture del film, sono stato colpito, come i lettori del romanzo, dalla ricchezza del dialogo di Azar Nafisi con i classici americani e inglesi e con il mettere i classici come via d’uscita per un Iran meno oppressivo, ma sono stato colpito anche dalla realtà che le ragazze del film portano alla storia. E qualcosa di vero ci arriva comunque, come la visione di “Sacrificio” di Andreij Tarkovskij a Teheran.
O le discussioni sui personaggi dei romanzi letti dalla professoressa. O l’orrore della repressione. Pensando che ancora oggi, in mezzo all’inizio di una possibile guerra con Israele, non si vedono vie d’uscite a un ritorno di una normalità nel paese. Ma la forza dell’interpretazione di Golshifteh Farahani e del suo gruppo di ragazze mi sembra che faccia volare alto il film.
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