Marco Giusti per Dagospia
Aiuto! Al secondo giorno della Festa del Cinema di Roma già arriva “Paradiso in vendita”, quinto film scritto e diretto da Luca Barbareschi dopo il non riuscitissimo “The Penitent”, film-pamphlet indigesto anti cultura woke, girato e interpretato in inglese dallo stesso attore e regista, ma presentato a Venezia un po’ in sordina, fuori concorso.
Anche “Paradiso in vendita”, pur se mascherato da commedia alla “Benvenuti al sud”, è una sorta di pamphlet politico, stavolta anti-francese, come se si proseguisse la guerra iniziata un anno fa fra la Meloni e Macron, nonché la difesa dei prodotti nostrani contro il burro, le escargots, il foie gras francesi in difesa del made in italy lollobrigidesco. Dei vini non si parla mai. La Festa del Cinema di Roma ha messo il film in concorso, e credo che sia la prima volta che un festival mette un film di Barbareschi in concorso. Hanno fatto bene?
La realtà è che non si capisce bene chi sia in concorso e chi no, e cosa davvero differenzi un film di una sezione da un altro. Va bene anche in concorso. Non capisco però perché non lo ha interpretato lo stesso Barbareschi, che ha lasciato il ruolo del protagonista, quello di François, un francese imbroglione che agisce per conto del governo dei ricchi borghesi alla Macron che depredano i poveri pescatori siciliani, allo svizzero Bruno Todeschini, vecchia conoscenza delle co-produzioni franco-italiane, ma poco adatto per questo tipo di commedia, che in versione da commedia assomiglia molto a Carlo Taranto, il fratello di Nino Taranto, che non ricordiamo, ormai, in molti.
Per questo anche la storia del film, coi francesi cattivi che vogliono comprare dal nostro governo l’isola siciliana di Filicudi, dove ha casa lo stesso Barbareschi, qui ribattezzata Fenicusa, e hanno inviato l’infame François/Todeschini a estorcere contratti capestro firmati dai pescatori per depredarli di tutto con l’inganno, sembra la storia di una commedia meridionale di Giorgio Simonelli firmata Amendola-Maccari o di un film di Roberto Amoroso dei primi anni ’50 con Giacomo Rondinella.
C’è pure la bella donna del posto, una sempre stupenda Donatella Finocchiaro, ruolo che sarebbe stato affidato un tempo a Maria Fiore, che deve far rinsavire e risvegliare sessualmente l’ambiguo e infame francese. Che vi devo dire?
Lo so, mi sto arrampicando sugli specchi alla ricerca di qualche appiglio per difendere il film, che ha un bellissimo cast di siciliani che parlano siciliano, capitanati da Domenico Centamore e Matteo Gulino, che non vedevamo al cinema dai tempi di “Angela” di Roberta Torre, e dalla stessa Donatella Finocchiaro, qui davvero ben ripresa, e vanta un cammeo di lusso, quello di Luc Merenda che avrebbe meritato un film a parte, delle belle riprese di Filicudi/Fenicusa anche se si eccede coi droni, ma ha una sceneggiatura t-o-t-a-l-m-e-n-t-e disarmante, tanto da farlo apparire spesso una pubblicità anti-macroniana ideata da qualche ministro alla Lollobrigida.
Funziona un po’ di più nelle scene di commedia alla “Benvenuto al sud” e nell’ambientazione isolana di Filicudi, dove si sente una vera passione per il posto. Comunque, se mi chiedete se sia un film della nuova ondata di destra al cinema, beh, certo che lo è. Ma, francamente, non è quello il problema del film.