Marco Giusti per Dagospia
Dopo tanti anni sono ancora alla ricerca delle letture scomparse di Giuseppe Ungaretti che aprivano ogni puntata dell’”Odissea” televisiva diretta da Franco Rossi e Mario Bava (che girò l’indimenticabile puntata di Polifemo) con Bekim Fehmiu come Ulisse e Irene Papas come Penelope.
Queste letture dell’Odissea di Omero fatte da Ungaretti vennero tagliate dalle puntate della serie che andarono in onda, in bianco e nero quando erano state girate a colori, e ahimé perdute per sempre. Mentre le puntate vennero riunite nel loro splendore a colori, le letture di Omero di Ungaretti di smarrirono per sempre. Spesso scordiamo quanto si debba noi tutti a Omero, all’Odissea e alla tradizione orale.
Questo “The Return” diretto da un regista colto e sofisticato come Uberto Pasolini, è scritto, ispirandosi all’Odissea di Omero, anzi al finale dell’opera, col ritorno di Ulisse a Itaca e il massacro dei proci, da John Colee (“Monkey Man”) e da un altro letterato di grande prestigio come Edward Bond, appena scomparso, leggo tra le sue collaborazioni cinematografiche “Blow Up” di Antonioni e “Laughter in the Dark” di Tony Richardson tratto da Nabokov.
Pasolini e i suoi dotti sceneggiatori sanno che il finale dell’Odissea, comunque lo si voglia prendere, è narrativamente un racconto perfetto. E ineluttabile. Non puoi stravolgerlo. Non puoi cambiar nulla. Odisse-Ulisse è un guerriero che torna da solo dopo vent’anni di avventure per mare e che solo il vecchio cane Argo riconosce, Penelope la moglie fedele che la notte disfa la tela che tesse il giorno, Telemaco è il figlio impotente di fronte agli abusi dei proci che trama una vendetta impossibile, e i proci sono i proci.
Maschi, pretendenti, buoni o cattive che dovranno morire per la vendetta finale di Ulisse. Nella versione, scabra, un po’ pasoliniana nel senso di Pier Paolo, ma ben costruita dal Pasolini inglese in inglese, girata in Grecia con attori inglese, francesi e italiani, uno straordinario Ralph Fiennes come Odisseo, una dolente Juliette Binoche come Penelope, Charlie Plummer come Telemaco, Marwan Kenzan come Antinoo e il nostro Claudio Santamaria come Eumeo, l’uomo che governa i maiali, che sarebbe stato anche un grande Ulisse, trovate tutto.
Anche Argo, anche il vecchio padre morente, anche l’astuzia della freccia che solo Ulisse sa come far passare nelle crune delle dodici accette (sono dodici?). Fino al mare di sangue finale e al lavaggio da parte di Penelope del marito ancora imbrattato di sangue. Voi direte. Ok, è una storia fantastica che funziona sempre. Ottimo per fare recitare degli attori come Ralph Fiennes e Juliette Binoche. Ma che bisogno c’era di girarla di nuovo?
Non bastava il vecchio “Ulisse” diretto da Mario Camerini con Kirk Douglas e Silvana Mangano, e Anthony Quinn come Antinoo, non bastava quello di Franco Rossi per la tv, non bastava la versione western che ne fecero Fernando Di Leo, sceneggiatore, e Duccio Tessari, regista, in “Il ritorno di Ringo” con Giuliano Gemma?
Credo che Pasolini e i suoi dotti sceneggiatori lo abbiano voluto riscrivere, pur nulla togliendo alla grandezza del racconto originale, per costruire attraverso il ritorno di Odisseo e la sua quasi meccanica trasformazione in macchina di guerra, per affrontare un tema eterno, ma oggi tragicamente attuale, come l’orrore della guerra.
Perché la guerra, il sangue mischiato con la terra, è quello che si porta dietro Ulisse/Odisseo a vent’anni dalla sua partenza, e la guerra è la sola cosa che può di nuovo scatenare. Credo che tutto il finale dell’Odissea con il ritorno a casa dell’eroe racchiuda già questo tragico ragionamento, ma Pasolini, grazie a una regia rigorosa, a una sceneggiatura perfetta, a un Ralph Fiennes strepitoso che non potrà fare a meno di uccidere e di tramandare al figlio la guerra come eredità, ci offre una nuova occasione per rileggere il capolavoro di Omero. E, mentre da vecchio critico barbogeo non ricordo spesso le storie dei film che ho visto due tre giorni prima, mi chiedo perché ricordo ancora così bene l’Odissea e i suoi eroi?