Marco Consoli per “La Stampa”
«Quando sono venuta la prima volta al festival di Venezia era il 1986, ero protagonista di una soap opera intitolata Così gira il mondo. Se all'epoca mi avessero detto che un giorno sarei tornata qui nella giuria del Concorso, credo che mi sarei gettata in un canale dalla felicità».
E Julianne Moore, 62 anni portati magnificamente, torna al Lido, addirittura da presidentessa del consesso formato dalla regista francese Audrey Diwan, fresca vincitrice del Leone d'oro con La scelta di Anne, l'attrice iraniana Leila Hatami (Una separazione), i registi Leonardo Di Costanzo (Ariaferma), Mariano Cohn (Finale a sorpresa), Rodrigo Sorogoyen (Madre), e dello scrittore Kazuo Ishiguro (qui si vedrà Living, da lui sceneggiato).
In tempi di crisi del cinema in sala, indebolito dalla pandemia ma secondo molti soprattutto dallo streaming (e Netflix oltre al film d'apertura, White Noise, ha ben 4 film in concorso), Moore sottolinea: «Troppo spesso si parla della settima arte dal punto di vista commerciale.
E se i mezzi di distribuzione cambieranno sempre e hanno a che fare con l'evoluzione tecnologica, quello su cui è importante concentrarsi è l'aspetto creativo. L'arte non cambia e le persone continueranno sempre a sentire il desiderio di raccontare storie per condividerle.
Per questo i festival hanno una straordinaria importanza, non soltanto perché rappresentano la possibilità di vedere il meglio di una selezione affinata da curatori competenti, ma anche di scoprire nuovi autori, sceneggiatori e attori. In un mondo in cui le nostre vite sono pianificate nel minimo dettaglio e in cui tutti sappiamo sempre cosa stiamo per vedere in sala, è magnifico abbandonarsi con altre persone a qualcosa di totalmente inatteso».
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Interprete di straordinarie pellicole come America Oggi, Magnolia, Lontano dal paradiso e Still Alice da spettatrice Moore sa cosa chiede alla visione: «Trovo immensamente gratificante guardare pellicole in lingue diverse dalla mia, mi permette di concentrarmi su ciò che mi interessa di più: osservare i personaggi come esseri umani e lasciarmi trascinare da ciò che mi fa identificare col mio prossimo e accelera i battiti del mio cuore».
Lasciando la porta aperta alle sorprese: «Come quando avevo 10 anni e andavo nel cinema della piccola città dell'Alaska in cui ho vissuto per un po' (il padre era in servizio nell'esercito americano, ndr). Vedevo film come Gli Aristogatti, poi un giorno ho visto Minnie e Moskowitz di John Cassavetes. Ne sono rimasta sorpresa e mi sono chiesta quale fosse il mio posto nel mondo. Credo che questo sia il dono che si può ricevere da un bel film».
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