Andrea Cuomo per “il Giornale”
Il televisore a colori è stato spento qualche mese fa, un giorno di maggio del 2019.
Un giorno triste per i giovani berlinesi: il Farbfernseher, che significa appunto televisore a colori, veniva sfrattato dall' edificio al numero 114 di Skalitzer Strasse, nel quartiere multiforme di Kreuzberg. Era un vecchio negozio di apparecchi catodici di cui era stata conservata l' insegna che ne prometteva la vendita a 98 marchi l' uno ma che era diventato uno dei club più celebri della città che ha la musica nel sangue forse più di Londra, più di New Orleans.
Il motivo per cui il Farbfernseher ha tirato giù le graffitatissime serrande è banale. Troppi rumori, troppi fastidi per i vicini che si lamentavano. Così allo scadere del contratto il padrone del locale non lo ha rinnovato e ciao a tutti, la musica è finita. La stessa cosa è toccata più o meno nello stesso periodo ad altri indirizzi che erano nel navigatore degli appasionati di musica di tutta Europa: il Rosis in Revaler Strasse a Treptow, lo Stattbad in una vecchia piscina di Wedding, per dire.
Si calcola che un centinaio di club abbiano chiuso i battenti negli ultimi dieci anni e che altri 25 siano attualmente sotto la minaccia di farlo a causa della gentrificazione di alcuni quartieri berlinesi e della voglia dei padroni della mura di avere inquilini meno ingombranti e rumorosi.
Non è un problema che interessa solo una limitata tribù di rocker nottambuli. I club, oltre ad aver ridato vita a edifici abbandonati come negozi, fabbriche, birrerie e rifugi antiaerei, sono diventate una delle principali attrazioni di una metropoli che non riesce mai a essere del tutto normale. Si calcola che Berlino sia visitata ogni anno da almeno tre milioni di turisti musicali e che l' attività dei club abbia contribuito nel 2019 per 1,5 miliardi all' economia cittadina. Altro che nicchia.
Così i gestori di questi locali hanno deciso di darsi una mossa: hanno creato Clubcommission, un collettivo di proprietari e appassionati che hanno fatto il censimento dei clubsterben (i club morti) e hanno presentato al Bundestag - alla commissione per l' edilizia lo sviluppo urbano - una campagna per riconoscere i club come parte integrante della vita culturale berlinese e dar loro le stesse tutele garantite alle sale da concerto e ai teatri dell' opera.
dave gahan dei depeche mode agli hansa studios di berlino
Un parallelismo forse oltraggioso per i melomani ma di certo meno assurdo per chi deve far tornare i conti della capitale tedesca. Così la proposta vanta l' endorsemente dei Verdi, del partito di sinistra Die Linke e anche il tacito supporto della Cdu di governo. Secondo il progetto, i proprietari di ogni edificio vicino ai club sarebbero obbligati - anche con incentivi pubblici - a schermarlo acusticamente attraverso barriere antirumore e finestre rinforzate per ridurre il fastidio per gli inquilini e di conseguenza le proteste. Altrimenti, piangono in coro i gestori, l' alternativa è chiudere o spostarsi sempre più in periferia, marginalizzando una miniera di euro.
La campagna di «culturizzazione» delle notti berlinesi conferma ancora una volta come la scena musicale appartenga all' anima della grande città sulla Sprea. Che nel corso degli ultimi decenni è stata spesso rifugio e luogo di ispirazione di cantanti e gruppi leggendari.
brian eno robert fripp e david bowie agli hansa studios di berlino
Negli Hansa Studios, detti anche un tempo «By the Wall» per la vicinanza al muro dalle parti di Potsdamer Platz, hanno registrato David Bowie (la celebre trilogia berlinese che comprende Low, Heroes e Lodger tra il 1977 e il 1979), Iggy Pop, gli U2 (che nel 1991 incisero quello che molti considerano il loro capolavoro, Achtung Baby), i REM (il cui ex leader Michael Stipe ha anche a lungo vissuto a Berlino), Lou Reed (Berlin del 1973). E poi Frank Zappa, i Queen, perfino i Rolling Stones e il loro finto concerto del 1969 che mandò in paranoia il regime comunista. E i Pink Floyd e il loro leggendario The Wall. Live in Berlin per la caduta del muro, il 21 luglio 1990. Come l' Aida a Caracalla, ma appena più fragoroso.
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