Roberto Faben per “La Verità”
Se il tambureggiare delle cronache del crimine consente solo in minima parte un meticoloso scandaglio dei retroscena psicologici e sociali dei delitti e lascia un punto di domanda sui destini, a distanza di anni, dei loro esecutori o presunti tali, Franca Leosini, riapparendo in tivù, su Rai 3, si riaffida nuovamente al suo approccio, che definisce «verticale».
È quello cui ha ricorso, conciliando i metodi di sociologia comprendente, criminologia d'introspezione e alcuni fondamentali del giallo televisivamente ricostruito - pathos narrativo e suspense - nella sua fortunata serie Storie maledette, basato su una scrupolosa analisi degli atti processuali per risalire la china di una storia macchiata di sangue violento, fino al penetrante colloquio in profondità, davanti alla telecamera, con il principale protagonista di quella vicenda. Ciò per mirare sul bersaglio di una domanda che sotterraneamente ciascuno di noi si pone.
Qual è il fatale inciampo che fa assumere a un'esistenza, fino a quel momento ordinaria, i tratti di una storia maledetta? Stavolta, nelle due puntate in onda il 4 e l'11 novembre 2021, dal titolo Che fine ha fatto Baby Jane?, ripreso dal noto noir con Bette Davis del 1962, l'autrice e conduttrice del programma si è chiesta qual sia stata la sorte dei protagonisti di altrettante storie.
Esse sono quelle di Filippo Addamo che, a 19 anni, il 27 marzo 2000, a Catania, in via del Teatro Greco, uccise la madre Rosa Montalto, di 37 anni, con un colpo di pistola alla nuca, e di Katharina Miroslawa, polacca, avvenente ballerina di night club, condannata con l'accusa di essere la mandante dell'assassinio dell'imprenditore Carlo Mazza, il cui cadavere fu rinvenuto, il 9 febbraio 1986, a Parma, freddato con due colpi di una 6 e 35 al cranio.
Con l'uomo, l'entraîneuse, all'epoca venticinquenne, sposata con Witold Keilbasinski, esperiva una relazione, inducendolo pertanto a stipulare una polizza-vita del valore di 1 miliardo di lire a suo beneficio in caso di morte dell'amante. Addamo e Miroslawa sono ora in libertà. Il primo, reo confesso, dopo aver scontato 17 anni di reclusione, vive e lavora in Belgio, con una compagna e un figlio piccolo. La seconda, sempre dichiaratasi innocente, dopo anni di latitanza ha trascorso la detenzione al carcere della Giudecca, a Venezia, pena da alcuni anni esaurita.
Per Leosini s' immersero nel loro passato rispettivamente nel 2004 e nel 2001. Ora si ri-materializzano, nello studio di Che fine ha fatto Baby Jane, i cui poliedri vermigli su sfondo scuro e un'onda di frammenti vaganti sul mega-screen simbolizzano il flusso dei ricordi che tornano allo choc di un evento truculento, nel quale l'ormai lontana matematica di nessi e prove processuali cede il passo al mistero ultimo chiuso nei ricordi, trasformato in una luce di speranza.
Franca Leosini, perché ha deciso di raccontare il destino, dopo la fine della detenzione, di 2 dei 98 protagonisti di Storie maledette?
«Molto spesso, chi si è interessato a Storie maledette, mi ha chiesto qual è stata la sorte di queste persone dopo aver pagato il debito con la giustizia, se si sono re-inserite e se c'è stato il perdono sociale. Penso sia più facile perdonare che dimenticare. Esiste, certo, un diritto all'oblio, ma è difficile che la gente dimentichi».
franca leosini storie maledette
Filippo Addamo uccise la bella madre perché non accettava che essa si portasse a letto l'amico ventiquattrenne del ragazzo, perché lei continuava a cercare amorazzi anche dopo averla indotta a troncare quella tresca, perché sfasciò la famiglia e suo padre non affrontava di petto ciò che stava accadendo. Non è da considerarsi, lui stesso, vittima della figura materna?
«A 15 anni Rosa era già madre. Non ha avuto una giovinezza. A un certo punto della vita queste cose possono accadere. Il figlio non le ha perdonato che, dopo la storia con il suo amico, abbia continuato con altre. Lui ha sempre detto che non intendeva ucciderla. Ma non accettava le scelte della madre, che adorava. Dopotutto, un bravissimo ragazzo».
Addamo ha ripetutamente sottolineato la questione dell'onore. Si sentiva non solo tradito, ma disonorato dalla madre. In questa società così confusa, quel concetto di onore un tempo considerato dal codice penale fa ancora pensare…
«Sì, è una società confusa, con grande libertà di comportamenti e di giudizio. Il divorzio, in fondo, non è molto lontano. Generalizzare è sempre un crimine. Ogni cosa dipende dalla qualità del rapporto e dall'ambiente sociale. A livello generale, c'è maggior disinvoltura nei rapporti di coppia diciamo nei "piani alti", mentre in strati sociali chiamiamoli più semplici, il senso dell'onore è più presente».
franca leosini roberto d agostino
La donna sembra spesso dibattuta tra la richiesta di attenzioni e talvolta di possessività come segno d'amore e quella di non essere asfissiata da eccessi che talvolta sfociano in violenza e omicidio. Quale dovrebbe essere il punto di equilibrio tra questi due opposti?
«Il punto di equilibrio è avere un profondo convincimento dell'importanza di un rapporto, che non deve essere vissuto con superficialità. Sono necessari il dovuto rispetto umano dell'altro e dei suoi sentimenti, la fedeltà al sentimento».
In certuni casi, l'uomo appare spiazzato dall'atteggiamento femminile. In una storia da lei raccontata, Angelo Piro, guardia giurata di 42 anni, il 2 agosto 2006, a Genova, colse in flagranza di adulterio la moglie Monica, 39 anni, nell'appartamento dei suoceri, con un giovane amante, e uccise l'uomo con 5 colpi di rivoltella.
franca leosini roberto d agostino foto di bacco
Piro era dedito solo alla famiglia, riempiva la moglie di attenzioni, faceva il casalingo, accudiva i 2 figli, la lasciava uscire la sera, le aveva appena regalato un prezioso collier. Essa disse che era un marito «troppo perfetto» e si sentiva «trattata come una cretina». Quando fu incarcerato, disse di amarlo, supplicandolo di stare con lei. Ma che cercava questa donna?
«Chiedeva l'impossibile. Vivere momenti di svago sentimentale senza che venisse meno il supporto del marito. C'è da dire tuttavia che è molto difficile entrare nell'intimità di una coppia. Mai sapremo, inoltre, cosa si verifica sotto le lenzuola. Il mio motto è "capire, dubitare, raccontare". Mai giudicare. I miei interlocutori non sono "criminali", ma "persone che hanno commesso un crimine".
Vanno distinti da mafiosi, camorristi e anche dai borseggiatori del tram, ossia dai professionisti del crimine. A un certo punto cadono nel vuoto di quella maledetta storia».
Dal rapporto 2021 del Dipartimento di polizia criminale, che analizza i dati sugli omicidi volontari in Italia nel 2020, accanto a un trend che conferma una contrazione negli ultimi 30 anni - dai 1.633 del 1990 ai 271 del 2020 - emerge che crescono invece gli assassinii di donne perpetrati da uomini in ambito familiare-affettivo, il 40% con movente passionale. Ciò che colpisce è la pressoché totale assenza di armi da fuoco utilizzate e il frequente utilizzo di coltelli, spia di aggressioni d'impeto. Ogni caso va analizzato singolarmente, ma cosa, secondo lei, impedisce a donne in pericolo, di allontanarsi in tempo da possibili esiti fatali?
«C'è la sindrome dell'"io ti salverò" che non abbandona mai. Nei delitti di cui mi sono occupata, i comportamenti violenti non sono premeditati, ma messi in atto in momenti di particolare drammaticità del rapporto.
Aggiungo che il coinvolgimento in trasmissione di autori di delitti ha sempre avuto, su di essi, un'altissima ricaduta positiva mentre, talvolta, subito dopo la tragedia, erano descritti con tinte violente non corrispondenti alla realtà».
antonio ciontoli intervistato da franca leosini
Frequentemente, vari suoi interlocutori, condannati per omicidio con pene variabili, da alcuni anni fino all'ergastolo, hanno continuato a ribadire la propria innocenza davanti alla telecamera. Ha avuto talvolta l'impressione che fossero sinceri e pertanto il dubbio che la giustizia sia caduta in errore?
«Non faccio nomi, ma talvolta è accaduto. Su alcune sentenze di condanna ho avuto forti dubbi. I magistrati compiono un lavoro eroico ma in alcuni casi mi ha colpito la forte discrepanza di valutazione tra una Corte giudicante e l'altra».
Le sarà capitato di nutrire riserve circa la veridicità di alcuni particolari, forse essenziali, dei racconti degli intervistati
franca leosini intervistata foto di bacco
«Per loro non è facile tornare nell'inferno del loro passato. Ciascuno di essi, e ricordo che dalla Rai non hanno preso una lira, aspira a un restauro d'immagine che consenta loro di rifarsi una vita. L'ergastolo, di fatto, non esiste. Tuttavia quando hanno detto qualcosa che si è discostato dagli atti processuali, li ho riportati negli alvei delle loro dichiarazioni scritte».
A un innocente condannato per un errore giudiziario corrisponde un colpevole in libertà. Alcuni casi, come il delitto di Simonetta Cesaroni, restano insoluti. Le nuove tecnologie consentono miglioramenti?
«Bisogna vedere in che misura la scena del delitto sia stata compromessa. Attraverso la prova del Dna, il tasso di risoluzione dei casi si è innalzato».
Ci saranno altre puntate di Che fine ha fatto Baby Jane?
«Certamente, andranno in onda nel 2022».
Cosa le ha lasciato il racconto di così tante e dolorose storie?
«Mi ha lasciato la convinzione che ciascuno di noi può trovarsi, suo malgrado, protagonista di una storia maledetta».
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