Stefano Bini per “Libero quotidiano”
Manlio Dovì, classe 1964, è stata una colonna del Bagaglino. Uomo di destra, satira pungente e gran cultura, a Dovì si devono le storiche imitazioni di Cossiga, Carlo d'Inghilterra, Sgarbi, Fassino e, di recente, Giuseppe Conte. In teatro, ha trovato la sua nuova dimensione. In ottobre ritorna con la commedia La stranissima coppia, insieme a Patrizia Pellegrino.
Stranamente non imiterà nessuno, in che ruolo la vedremo?
«In realtà, mi è stata sempre un po' stretta l'etichetta d'imitatore e, quando ho potuto, ho cercato di farlo come un attore che si cala nella parte di un personaggio immaginario. Ricordo che in un articolo, il compianto Beniamino Placido, scrisse di me "Dovì non imita solamente voce e gestualità dei suoi personaggi, ne ruba l'anima!". In questa commedia cinica e divertente, il regista Diego Ruiz mi ha affidato il ruolo di Diego, un cinquantenne divorziato che, nonostante le delusioni prova ancora a ricorteggiare una donna con tutti gli inconvenienti del caso. Non vedo l'ora!».
Lo spettacolo sarà al Manzoni di Roma, vicino al delle Vittorie dove nel 1986 esordì con Fantastico di Baudo.
«Esatto! Quando allora si facevano i provini, che erano banchi di prova durissimi con signori autori come Broccoli, Torti, Zavattini e via dicendo. Un grande show e, in cuor mio, ero sicuro che stavo partecipando ad uno spettacolo irripetibile, la storia mi ha dato ragione».
Dal Bagaglino alle ospitate, dai film alle commedie teatrali, ha ancora sogni nel cassetto?
«Il mio cassetto è sempre pieno di sogni! Sogno di fare mille film, commedie e canzoni. Non nascondiamoci dietro una maschera, anzi, visto i tempi, una mascherina. Un attore vorrebbe fare e immaginare tutto. Massimo Dapporto, mi raccontava, durante le riprese di 365 giorni all'alba che, da piccolo, si faceva le interviste da solo. Per cui si vive in un mondo parallelo, forse anche di pura fantasia, lo ammetto, ma a volte più vero e affascinante di quello reale».
Com' è stato l'isolamento?
«Sono uno scarsissimo fruitore e frequentatore di social, non me ne vogliano gli influencer, e cerco d'impegnare il mio tempo diversamente. Per esempio, in questo periodo di isolamento forzato, ho accettato di leggere una videofiaba per i bambini costretti a stare a casa, e l'ho fatto a modo mio, e cioè curandomi di tutto: regia, soggetto, dialoghi, disegni, musiche e naturalmente voci. Speriamo piaccia!».
Come pensa si metterà in moto lo showbusiness e cosa si augura per il futuro dell'Italia?
«Vorrei vedere più arte, creatività all'insegna del buongusto e comunicatività, meno ripetitività ed ovvietà. Soffro come tutti questo decadentismo culturale, come se la nostra storia fosse cancellata. Mi mancano i De Sica, i Monicelli, i Moravia e così via...».
Non ha mai nascosto di essere un attore di destra. In passato gliel'hanno fatto pesare o è filato tutto liscio?
«Quando decisi di intraprendere questa carriera mio padre mi disse: "vuoi fare l'attore? Bene, sappi che è difficile. E poi, dimmi: sei di sinistra?". Risposi di no e lui controbattè con un sonoro "Allora è doppiamente difficile". Ed anche Florestano Vancini, per il quale ho avuto l'onore d'interpretare il protagonista del suo ultimo film E ridendo l'uccise, mi confessò che trovò mille difficoltà proprio perché non ero "schierato" dalla parte giusta. In realtà, la sinistra ha sempre sfruttato tutti i settori dell'intrattenimento e della comunicazione, coccolando i propri "pupilli" (non me lo sono certo messo in braccio io Berlinguer), con l'incomprensibile pretesto che la cultura sia di sinistra, e chi non lo è si ritrova a gareggiare, in Formula 1, con i go-kart».