1 - #DELETEFACEBOOK! LA CAMPAGNA PER ABBANDONARE IL SOCIAL DOPO LA DECISIONE DI BLOCCARE I CONTENUTI DELLE NOTIZIE IN AUSTRALIA
Rupert Murdoch nel 1977 con la seconda moglie Anna e i figli Elisabeth, Lachlan e James
Facebook è sommerso dalle richieste di boicottaggio dopo aver compiuto il passo straordinario di vietare agli utenti in Australia di accedere alle notizie degli organi di informazione del gruppo di Rupert Murdoch, dal Wall Street Journal di New York al Times di Londra.
"Elimina Facebook", "Boicotta Zuckerberg" e "Facebook We Need To Talk" sono gli hashtag diventati di tendenza sul social rivale Twitter. David Cicilline, un politico democratico americano, si è persino spinto a dire che "Facebook non è compatibile con la democrazia" e le persone sono state esortate a rinunciare a Instagram e WhatsApp perché li possiede proprio Facebook.
Tra coloro che hanno esortato le persone a eliminare l'app c'è Stephen Scheeler, ex CEO di Facebook Australia, che ha criticato la mossa "allarmante" e ha accusato Mark Zuckerberg di essere motivato da "denaro, potere e non dal bene".
Facebook ha dichiarato di aver preferito bloccare i contenuti delle notizie piuttosto che rispettare una nuova legge che dovrebbe essere approvata in Australia nei prossimi giorni che la costringerà a pagare le testate giornalistiche per ospitare i loro contenuti. Molti hanno criticato la decisione, dicendo che porterà alla proliferazione di teorie del complotto e disinformazione, che invece Facebook sostiene di voler affrontare.
elezioni americane e facebook mark zuckerberg 1
Invece di vedere i post sul gigante dei social media, gli utenti che hanno cliccato sulla propria pagina Facebook hanno ricevuto un messaggio che diceva "ancora nessun post". Facebook ha tentato di incolpare il governo australiano, dicendo che la situazione è figlia della definizione "ampia e vaga" di "notizie" contenuta nella sua nuova legge.
Anna Lombardi per "la Repubblica"
Google News messa al tappeto dall'editore più grande del pianeta, quel Rupert Murdoch proprietario di un impero d'informazione su cui davvero non tramonta mai il sole, dal Wall Street Journal di New York al Times di Londra.
Dopo anni di battaglie, il tycoon ha infatti piegato il colosso di Mountain View a un accordo economico che impone il pagamento dei contenuti giornalistici della sua News Corp: almeno in quell'Australia dove è nato 89 anni fa. E dove ha il core business del suo impero, proprietario com'è dei giornali - dal Daily Telegraph all'Herald Sun - e delle tv australiane di peso.
Murdoch, impegnato in una personalissima guerra contro il motore di ricerca fin dal 2009, quando tentò una partnership con Bing di Microsoft, ha dunque usato come arma fine del mondo la legge in discussione a Canberra per imporre, appunto a Google ma pure a Facebook, di pagare i link indicizzati nella loro sezione news.
MARK ZUCKERBERG E LA CRIPTOVALUTA DI FACEBOOK LIBRA
Informazioni prodotte da altri, cioè, a cui però sottraevano ampie fette di pubblicità digitale. Una norma che, in altro modo, sta spingendo pure Mark Zuckerberg all'azione: pronto a limitare la condivisione di contenuti giornalistici in quel paese, permettendo, in pratica, agli editori internazionali di pubblicare sì, i loro contenuti su Facebook, ma rendendoli invisibili al pubblico australiano.
Per ora quella con Google è un'intesa triennale - prima a livello globale - che per certe roccaforti di Murdoch come Wall Street Journal e New York Post negli Stati Uniti, e Times e Sun in Gran Bretagna, si estende pure al di là dell'Australia. E prevede pure lo sviluppo di una piattaforma per gli abbonamenti e la condivisione dei ricavi pubblicitari da sviluppare sfruttando altri servizi tecnologici di Google.
robert thomson ad news corp (1)
«Stabilendo il principio che il giornalismo di qualità va premiato l'accordo avrà un impatto positivo sul giornalismo di tutto il mondo» afferma l'ad di News Corp, Robert Thomson. Ma nell'ambiente, molti sono diffidenti. Google, infatti, già un anno fa si era impegnata a spendere un miliardo di dollari in tre anni per acquistare contenuti giornalistici da editori di diversi paesi.
Ma il Financial Times, primo a svelare l'accordo, pur parlando solo vagamente di "pagamenti significativi" fa capire che le cifre da sborsare in Australia saranno ben più alte di quelle degli accordi siglati altrove.
Insomma, non tutti gli editori hanno il potere negoziale di Murdoch. A meno di non allearsi con la politica. In Australia, infatti, è stato direttamente il ministro delle Finanze, Josh Frydenberg, a portare avanti i colloqui con Facebook e Google. E pazienza se le aziende avevano inizialmente minacciato di ritirare i servizi se la legge fosse stata approvata. Alla fine, si sono piegate. E questo forse, ispirerà leggi analoghe altrove.
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