Laine Nooney per “Atlantic”
Il 5 ottobre 1981, “Time” scriveva della nascita del “software per le masse”, una dissertazione su come il possesso del computer non fosse più limitato ai programmatori e agli hobbysti, ma si fosse allargato alle casalinghe e ai bambini. L’articolo riportava una foto “rischiosa” di tre brunette in topless nella vasca da bagno, ovvero la pubblicità del “fantasy game” intitolato “Softporn”, dove i giocatori dovevano sedurre le tre donne, evitando ogni pericolo, tipo l’essere ammazzati dal buttafuori di una discoteca. Per 30 dollari potevi comprare questa avventura erotica su floppy disc. “Time” sosteneva che ne fossero state già vendute 4.000 copie, tanti erano i proprietari del primo gioco porno per computer venduto ufficialmente in America.
Siccome si trattava di erotismo, molto era lasciato all’immaginazione. Non c’erano immagini, solo testo. Il giocatore controllava il personaggio maschile e i comandi erano netti: Gioca alle slot, Compra whiskey, Metti il preservativo, Scopa la puttana. L’ambientazione era distopica, una città anni settanta con bar, discoteca e casinò. Se fino ad allora esistevano solo navicelle spaziali e giochi sportivi, adesso si poteva passare una notte da single come si deve. Ventenne e single era anche il programmatore di “Softporn”, un tale Chuck Benton, che lo aveva ideato nei weekend come fosse una satira, un catalogo di imbarazzi per nerd come lui, tipo comprare un pacco di condom o incontrare una dominatrice. C’è del sessismo, ma nessuna oscenità. La rivelazione non fu il gioco in sé, ma il fatto che fosse venduto.
la nascita del software di massa
I contenuti erotici avevano circolato liberamente, ma in forma di barzellette o attraverso le stampe delle conigliette di “Playboy”. Come le pin-up messe sulle pareti dell’ufficio, servivano ad affermare ciò che era desiderabile fra colleghi maschi, ma non necessariamente provocava attività sessuale. Al contrario, i microcomputer fornivano privacy, permettevano un utilizzo individuale, e funzionavano con un codice d’accesso personale.
Benton inizialmente ebbe problemi a distribuire “Softporn”. Nessuno voleva fargli pubblicità, nemmeno le riviste degli entusiasti del computer, ovvero l’unico network che potesse connettere i potenziali clienti sparsi per gli stati. Dovette vendere le copie a mano. Finché il gioco non arrivò tra le mani di Ken Williams, tra i più giovani di “Apple II”. A 26 anni era il co-fondatore e presidente di “On-Line Systems”, fino ad allora specializzata in giochi di avventura. Williams aveva la abilità e l’ingenuità per dedicarsi al “sex game”. Venne fatto tutto in modo familiare: la foto di “Softporn” fu scattata a casa, le modelle erano le impiegate dell’azienda, il cameriere era quello del ristorante all’angolo. Ed ecco lo scatto finale: luce del tramonto, tre donne annoiate, due che bevono champagne e una che morde “la mela”. Nessuno poteva immaginare ciò che sarebbe seguito. La piccola, insulare, ingenua scena dei software indipendenti per microcomputer stava per diventare cultura aziendale mischiando inesperienza e crescita esponenziale.
La locandina di “Softporn” apparve per la prima volta su “Softalk”, rivista per amanti di “Apple”, che si lamentarono subito dei contenuti della promozione. Molti, tra genitori, librai, insegnanti, parteciparono all’acceso dibattito, prendendo posizioni piuttosto conservatrici. La frizione fra consumatori, e fra industria e pubblico, raggiunse altissimi livelli ma, 34 anni dopo, mostra solo come sia facile abituarsi a cose nuove e a strane tecnologie.
Nel 1981 i microcomputer e le industrie alleate non erano destinati a diventare il luogo in cui le donne erano violentemente molestate per via di discussioni sull’uguaglianza. Il futuro non era determinato, e poteva andare diversamente da come è andata.
L’uscita ufficiale di “Softporn” fu rimandata per mesi, intanto circolava fra amici e curiosi. Risorse tempo dopo, pubblicato con alcune variazioni a colori dalla azienda “Sierra On-Line”, nel 1987. “Softporn” non è tanto importante tanto come gioco quanto come pièce di teatro sociale. Proponeva tutta la retorica che un gioco può offrire, la misoginia, la poca ironia, ma si scontrava con un’emergente cultura populista legata al mezzo del computer.
Nessuno sapeva cosa farci, con il microcomputer, una volta trascinato nella cantine, nel garage o in cucina. Il suo uso era in parte utopia tecnologica, più spesso banalità domestica. La storia della distribuzione e della ricezione di “Softporn” illumina angoli finora sconosciuti della storia del computer. La moderna libertà tecnologica non è caduta dal pero.