Estratto dell’articolo di Simone Marchetti per “Vanity Fair”
Di sere nere. Dove non c’è tempo, non c’è spazio e mai nessuno ascolterà. «Vanity c’era quando ho avuto successo, quando ho fatto coming out, quando mi sono sposato. E Vanity c’è anche adesso, quando le cose non vanno proprio come te le eri immaginate. In quei momenti hai bisogno di amici. Amici che sanno ascoltarti».
Incontriamo Tiziano Ferro in Italia, a Roma. È qui di passaggio, per alcuni nuovi progetti, mentre il vento del passato non smette di inseguirlo: una recente intervista di Mara Maionchi al programma Belve di Francesca Fagnani ha riaperto vecchie ferite in un momento, quello attuale, che coincide con la presa di coscienza di una nuova vita dopo la rottura col marito e dopo la fine di un certo modo di intendere la propria carriera.
tiziano ferro presenta i figli
Mi perdoni. Visto il momento con Maionchi e il caos generato dall’intervista di Fagnani, dovrei iniziare con la domanda di rito: lei che belva si sente?
«Una che non morde. Ogni tanto mi piacerebbe attaccare, ma non è la mia natura. A volte, non mordere, non attaccare è stata però una forma di autolesionismo: invece di prendermi cura di me stesso, battevo in ritirata solo per educazione o gentilezza. La verità, ho scoperto con gli anni, è che ho bisogno di persone, di amici che sappiano ascoltare. Ed è forse per questo che sono qui a parlare con lei e con Vanity: questo giornale è stato uno dei migliori amici che ho avuto perché non sa solo ascoltare le storie, le sa raccontare. Le parole che scegli sono tutto».
TIZIANO FERRO IN LACRIME A SANREMO
Prendo spunto dalle sue parole. Lei parla di una belva che non morde e che non ferisce. Chi l’ha ferita? E chi l’ha invece ascoltata?
«Devo ammettere che non mi aspetto molto dalle persone e quindi celebro ogni singola volta in cui trovo qualcuno che mi ascolta. A Los Angeles, per esempio, città che tutti giustamente ritengono alienante, ho trovato un’intera famiglia elettiva di persone che sono diventate amici. Molte di queste le ho trovate alle riunioni degli alcolisti anonimi. Il fatto è che lì nessuno ti chiede, come succede nella vita di tutti i giorni, quanto guadagni e che lavoro fai.
La conoscenza parte dai danni che hai fatto, dalle fragilità. E tutto diventa più autentico, senza filtri. Ma ci sono anche amiche speciali come Elisabetta Canalis e Bianca Balti, donne che smettono i panni dei loro personaggi per tornare a essere madri. Bianca è allegra, giocosa, prende tutto di petto. Elisabetta mi dà speranza, è creativa, spirituale. Il sentimento dell’amicizia è assolutista: gli amici ci sono sempre e comunque. Punto e basta. E capisci quanto siano importanti quando le cose non vanno come avevi previsto, come per esempio col divorzio da mio marito Victor». […]
Sta andando avanti? Sta incontrando nuove persone? Come fa, uno come lei, a incontrare nuovi partner? Usa app di incontri?
«Guardi, con due bambini piccoli l’ultima cosa che vuoi è iniziare una nuova relazione. In questo momento non ho la più pallida intenzione di entrare in quel meccanismo di incontro. Se succederà, sarà come nel resto della mia vita, dove le cose sono accadute per caso, come per caso mi sono ritrovato a vivere a Los Angeles.
Una cosa però mi piace molto: i miei due figli mi hanno dato il dono dell’immunità dalla Fomo, la paura di non essere presente ai party, alle feste, agli eventi, alla vita degli altri. E no, non ricorro alle app: ripeto, preferisco che succeda tutto per caso».
Torno alla sua storia. Lei è come l’araba fenice, rinasce sempre dalle sue ceneri. Dall’alcolismo, dalla depressione, dalla bulimia. Oggi si parla molto di salute mentale, soprattutto nei giovani. Lei come ha affrontato queste battaglie?
«La salute mentale è un argomento complesso che non si può risolvere con una diretta o una storia su Instagram. E un artista come me sbaglia quando pensa di curare o di migliorare la vita di chi soffre di queste patologie. Penso, invece, che bisogna lavorare sulla prossima generazione di genitori, perché saranno loro ad aiutare i loro figli a non scivolare in questi precipizi.
ALBERTO SALERNO - MARA MAIONCHI
Le faccio un esempio: parlando di bulimia, oggi non faccio né voglio fare l’apologia dell’obesità, però fino a ieri si portava un bambino dal dietologo solo perché aveva cinque chili in più del previsto. Quello è un meccanismo crudele che mi ha marchiato a fuoco perché io mi sentirò grasso per sempre e nulla mi farà mai cambiare idea. Camminerò per strada sentendomi grasso anche se non lo sono. E mi sentirò perennemente inadeguato. I genitori sono fondamentali in questo. E lo sono anche gli educatori. E i manager. E qui sì, mi riferisco a Mara Maionchi.
Le voglio bene e sono sicuro che vent’anni fa questi discorsi non erano così chiari. Però oggi va fatto un cambio di passo radicale, perché la salute mentale è una cosa pratica che va appunto praticata. È un obbligo morale raccontare alle persone, agli artisti, che il corpo non è un vincolo negativo per la loro arte. Io credo che Mara e molte altre persone non abbiano realizzato abbastanza quanto traumatico e doloroso sia quell’atteggiamento che si imprime per sempre nell’inconscio e nell’esistenza di ragazzini ancora fragili. Io oggi perdono la loro buona fede. Ma bisogna fare un mea culpa e non prendere più questo argomento alla leggera».
A riguardo, le parole che usiamo o che non usiamo sono importanti. Una scrittrice che entrambi stimiamo, Barbara Alberti, sostiene che la parola «frocio» vada usata liberamente. Lei che cosa ne pensa?
«Come le dicevo, mi fido della loro buona fede e capisco il loro ragionamento che richiede la libertà di dire o scrivere “frocio” quando più lo desiderano. Io gli voglio credere e un po’ invidio anche chi ha la possibilità di scegliere un termine senza aver mai vissuto la violenza di averlo ricevuto come offesa.
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Certe parole sono state i giustizieri della tua pace mentale, te le hanno ripetute da piccolo, all’asilo, alle elementari, alle medie e ogni volta che cambiavi città, regione e Stato. Determinate parole sono fonte di trauma e possono essere un veicolo di civiltà o inciviltà. Forse bisogna imparare a evolvere insieme al linguaggio». […]
Torniamo a lei: nuovi progetti?
«Innanzitutto un film. Sto chiudendo un contratto con Lorenzo Mieli per sviluppare un lungometraggio dal romanzo che ho scritto. E sul fronte della musica, be’, quella non finisce mai, come potrebbe? Le canzoni sono la mia carta d’identità, le scrivo quando sono triste e quando sono allegro». […]
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