Estratto dell'articolo di Alfredo Marziano per www.rollingstone.it
Alla voce cover musicali la nostra bilancia dei pagamenti è sempre stata in passivo. Soprattutto negli anni ’60, quando editori, case discografiche, autori e interpreti di pop e rock italiano (che allora si chiamava beat) saccheggiavano compulsivamente i pezzi da classifica internazionali (angloamericani, soprattutto) con risultati più o meno soddisfacenti dal punto di vista artistico e commerciale e qualche furberia di troppo nella gestione dei diritti.
Al contrario, le canzoni italiane entrate nel repertorio di artisti stranieri sono merce più rara anche se gli esempi (e i successi) non mancano, dai tempi di Nat “King” Cole e dell’altro re, Elvis Presley, a quelli di Laura Branigan, che negli anni ’80 fece fortuna con Gloria di Umberto Tozzi e Self Control di Raf. […] Ne abbiamo selezionate dieci, dagli anni ’60 a oggi.
It’s Now or Never, Elvis Presley, 1960
Non si può iniziare che dal re del rock and roll, che alla musica italiana si avvicinò dopo pochi anni di carriera e di dominio delle classifiche con l’intenzione di allargare ulteriormente mercato e orizzonti artistici mettendo alla prova le sue qualità canore e raccogliendo il guanto di sfida lanciatogli da Frank Sinatra. […]
Attinse al grande serbatoio della canzone napoletana tradizionale con Santa Lucia, Torna a Surriento (Surrender, nella sua versione in lingua inglese) e la celeberrima It’s Now or Never basata sulla melodia di ‘O sole mio. Grande ammiratore del tenore Mario Lanza, Presley si era innamorato di quella melodia ai tempi in cui, a fine anni ’50, prestava servizio militare in Germania, avendone ascoltata la versione che Tony Martin aveva inciso con il titolo di There’s No Tomorrow. […]
elvis presley torna a surriento
Gli editori di Presley pensavano erroneamente che la composizione di Eduardo di Capua fosse ormai di pubblico dominio ne ritardarono la pubblicazione, ma una volta uscito il 45 giri schizzò in cima alla classifica americana rimanendovi per otto settimane di fila per poi regalare a Presley il suo maggiore successo internazionale di sempre (oltre 20 milioni di copie). […]
Paff… Bum!, Yardbirds, 1966
Gli Yardbirds hanno più volte ricordato la loro partecipazione al festival di Sanremo del 1966, da loro definito puro euro trash, con un misto di orrore, incredulità e divertimento. […] A Sanremo il quintetto inglese si esibì in coppia sia con Bobby Solo (nella ballata presleyana Questa volta) che con Lucio Dalla, cointerprete (ma non autore) del buffo e innocuo beat Paff… Bum! firmato Bardotti-Reverberi. «Un pezzo orribile un po’ nello stile di Hang on Sloopy», secondo Dreja, costretto a sostituire Beck alla chitarra solista in studio dopo l’ostinato rifiuto di quest’ultimo a registrare un brano così lontano dalle sue corde. […]
Our Song, Robert Plant, 1967
La maggior parte dei fan di Robert Plant e dei Led Zeppelin è venuta a conoscenza della sua versione di La musica è finita di Ornella Vanoni (testo di Franco Califano e Nisa, musica di Umberto Bindi) grazie al suo inserimento in Sixty Six to Timbuktu, doppia antologia su CD distribuita nel 2003. Our Song segnò il debutto discografico solista del giovane e ambizioso cantante delle West Midlands per la CBS e nonostante l’improponibile confronto con quanto avrebbe registrato di lì a poco in compagnia di Jimmy Page, John Bonham e John Paul Jones il risultato non è disprezzabile. […]
(If Paradise Is) Half As Nice, Amen Corner, 1969
Un caso emblematico di pezzo italiano tradotto in inglese e baciato da grande successo, numero uno per due settimane nel febbraio del 1969 in Inghilterra: proprio il Paese in cui Lucio Battisti, autore delle musiche di ll paradiso, non riuscirà mai a sfondare come artista solista. La prima versione italiana, cantata nel 1968 da Ambra Borelli con lo pseudonimo di La Ragazza 77 era passata inosservata, mentre l’anno dopo Patty Pravo la portò nella Top 10 facendone uno dei pezzi forti del suo repertorio.
Gli Amen Corner, gallesi di Cardiff, la incisero anche loro nel 1969 […] grazie al fiuto del produttore americano (ma all’epoca londinese a tutti gli effetti) Shel Talmy, responsabile del sound rivoluzionario, deflagrante e zeppo di feedback di 45 giri epocali come You Really Got Me dei Kinks e My Generation degli Who. […]
I (Who Have Nothing), Warhorse, 1972
Uno dei tanti, successo di Joe Sentieri datato 1961 con musica di Carlo Donida e testo di Mogol, divenne una hit in America per Ben E. King nella versione tradotta nientemeno che da Jerry Lieber e Mike Stoller (coautori di Hound Dog, Jailhouse Rock e di altri classici di Presley). Da allora I (Who Have Nothing) è stata cantata anche da Shirley Bassey, Tom Jones e gli Status Quo mentre una bella e robusta versione rock, con un classico intreccio di chitarra solista e di organo Hammond e la potente voce di Ashley Holt in primo piano, si deve ai molto meno conosciuti Warhorse. […]
Music Is Lethal, Mick Ronson, 1974
Pubblicato nel novembre del 1972 nell’album Il mio canto libero, due anni dopo il classico di Battisti-Mogol Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi viene tradotto, rielaborato, prodotto e arrangiato con gusto, classe e immaginazione dal braccio destro di David Bowie: onirica, riccamente orchestrata e verniciata di glam, la cover di Mick Ronson in effetti non è troppo distante dalle tipiche atmosfere sonore degli Spiders from Mars. Sembra che a fargli conoscere la canzone fu proprio Bowie durante un soggiorno con le rispettive compagne in una villa di campagna situata nei pressi di Roma. […]
Live for Today, Lords of the New Church, 1983
Firmata dall’onnipresente Mogol con Shel Sapiro, Piangi con me fu pubblicata nel 1966 come lato B di uno dei maggiori successi dei Rokes, È la pioggia che va (traduzione di una composizione del cantautore statunitense Bob Lind). Il suo ritornello di immediata presa e facilmente cantabile attirò l’attenzione dei celebri e smaliziati produttori americani P. F. Sloan e Steve Barri i quali, visionato il testo in inglese commissionato a Michael Julien da Dick James (proprio lui: il primo editore musicale di John Lennon e di Paul McCartney), affidarono la cover al gruppo psych-pop losangelino dei Grass Roots […].
Sedici anni dopo, il supergruppo gothic composto da Stiv Bators (Dead Boys), Brian James (Damned), Dave Tregunna (Sham 69) e Nick Turner (Barracudas) ne offrirà una versione molto più lugubre e livida in linea con il mood e le sonorità degli anni ’80, coprendo la solare melodia con una coltre di synth e di batterie elettroniche.
Volare, David Bowie, 1986
Come il suo amico Mick Ronson, anche David Bowie ha ceduto, anni dopo, al fascino della melodia e della canzone italiana. Nel suo caso, il classico dei classici famoso in tutto il mondo: Volare cioè Nel blu dipinto di blu, il capolavoro di Domenico Modugno e Franco Migliacci che in un momento non brillantissimo della sua carriera (tra Tonight e Never Let Me Down) l’artista inglese ebbe l’ardire di interpretare nella nostra lingua cavandosela discretamente. […]
Senza fine, Mike Patton, 2010
Una sorpresa solo per chi non conosceva la sua storia: Mike Patton, vocalist del tostissimo gruppo funk metal di San Francisco Faith No More, si trasforma in credibile crooner all’italiana rendendo omaggio a Fred Buscaglione, a Nicola Arigliano, a Roberto Murolo, a Nico Fidenco, a Luigi Tenco, a Gino Paoli e a Gianni Morandi oltre che a Ennio Morricone e alla musica da film degli anni ’60 (il titolo dell’album, Mondo cane, è quello di una colonna sonora di grande successo dell’epoca). […]
Ciao amore, Peter Hammill, 2021
Come altri eroi dei prog anni ’70 (i Genesis in primo luogo), Peter Hammill ha coltivato un rapporto affettivo speciale con il nostro pPese fin dai tempi dei Van der Graaf Generator. Tre anni fa se ne è ricordato, indossando orgogliosamente una felpa azzurra sportiva con la scritta Italia sulla copertina dell’album In Translation, raccolta di cover di pezzi di origine non anglosassone in cui il nostro catalogo fa la parte del leone: accanto a I (Who Have Nothing) figurano classici di Fabrizio De André, Piero Ciampi e Luigi Tenco. […]
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