serie M - Il figlio del secolo
Marco Giusti per Dagospia
Venezia. Pronti, via! Prima la vita poi il cinema, diceva un celebre regista, Luigi Comencini. Sarà…Aspettando di capire cosa sarà questo festival, sulla carta ricchissimo e pieno di film e serie esplosive, a cominciare da “M Il figlio del secolo” di Joe Wright, tratto dal romanzo di Antonio Scurati, con un Mussolini che osa sbeffeggiare un sangiulianesco Marinetti futurista un po’ da barzelletta (“Marinetti fammi una pugnetta!”) e astutamente programmato gli ultimi giorni, a voler coprire ma anche a essere coperto da un inutile Pupi Avati, “L’orto americano”, film di chiusura che ovviamente nessuno vedrà.
Leggendo su “Lucy sulla cultura” la lunga e pomposa intervista (“La scala elicoidale che porta agli uffici di Barbera sembra quella da cui scende, nel finale di Sunset Boulevard, Norma Desmond”) di Nicola Lagioia a Alberto Barbera, direttore della Mostra, mi balza agli occhi, oltre al ricordo di Vattimo e Rondolino, oltre alle tre cose più importanti della vita, “il cinema, le donne e la politica” la fondamentale notizia che all’Africa, il ristorante del Lido, non il continente, che non ha offerto ahimé molti film quest’anno, è cambiata la gestione, c’è un certo Enzo, e finalmente si mangia bene. Buono a sapersi. Come si mangia anche bene da Andri, come ricorda Barbera.
Quanto al cinema, ieri sera sala Darsena piena per l’anteprima di inizio festival, la proiezione in magnifica copia restaurata in 4K di “L’oro di Napoli”, di Vittorio De Sica, sceneggiato da Cesare Zavattini, tratto dai racconti di Giuseppe Marotta, con Totò pazzariello alle prese col guappo che da dieci anni gli si è ficcato in casa, Sofia Loren pizzaiola del quartiere Stella e moglie infedele di Giacomo Furia, l’incredibile episodio, che un tempo venne tagliato perché troppo triste del “Funeralino”, cioè il funerale di un bambino, Silvana Mangano prostituta che si sposa e Eduardo che spiega a Nino Imparato come si fa il pernacchio e a cosa serva. Un capolavoro. Poco da dire.
Il pernacchio di Eduardo funziona sempre e Il funeralino mi fa sempre piangere. L’episodio della Mangano mi sembra inutile. Ma doveva compensare, visto che era una produzione Carlo Ponti-Dino De Laurentiis, l’esplosiva, imbattibile pizzaiola di Sofia, ancora senza ph, Ha introdotto la serata in un tripudio di applausi, il neo presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco, che ha messo in fila una serie infinita di Grazie! Grazie! Grazie!
A cominciare del grazie al pubblico (“pubblico è parola che contiene tutto quello che ci riguarda…” boh?), dal grazie a ognuno di noi, dal grazie alla pratica del ritaglio che ora è diventata la pratica dei social, dal grazie al grande Marotta (Pasolini non la pensava così, si sa), a Totò (“e qui pretendo l’applauso”, che c’è stato), dal grazie “a chi ha accettato di restare ancora con noi, grazie Alberto Barbera, che è meritevole del vostro applauso perché ci restituisce il senso proprio dell’eccellenza italiana”.
Devo dire che Barbera sembrava un po’ imbarazzato da questa calorosa presentazione. Molto più a suo agio Aurelio De Laurentiis, proprietario dei diritti del film, che, oltre a sgridare Buttafuoco per non aver ringraziato anche Zavattini (giusto) ha riportato la fresca notizia che il Ministro della Cultura, cioè Genny Sangiuliano, ha deciso che presenteranno “L’oro di Napoli” al San Carlo di Napoli in pompa magna. Magari sono un po’ all’antica, ma credo che le mani del governo Meloni sul cinema si stanno muovendo. E stasera arriva “Beetlejuice Beetlejuice”.
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