Marco Giusti per Dagospia
Venezia secondo giorno. Sono tempi difficili. E la Mostra del Cinema di Venezia non è mai stato un festival facile. Abbinati, Covid + Mostra, perché questa era “Mostra che non si poteva non fare” (Barbera), portano a questa specie di inferno che stiamo passando soprattutto noi critici più anziani.
Anche se ne son rimasti davvero pochi, almeno a quel che vedo in sala. Pensionati anche quelli televisivi, Mollica, Ghezzi, Marzullo. Ieri ho passato praticamente tutto il giorno con la mascherina, in viaggio, più quaranta minuti di vaporetto pigiatissimo che vale come un’estate al Billionaire in termine di rischi di contagio, poi nella zona rossa del Palazzo e in sala a vedere due film indiani, uno in concorso, “The Disciple” di Chaitanya Tamhane, già vincitore a Orizzonti nel 2014 con “Court”, davvero buono, tutto dedicato alla musica classica indiana, i raga, e uno a Orizzonti, “Meel Patthar/Milestone” di Ivan Ayr, non male, storia di un duro camionista immigrato a Dehli dalla campagna, vedovo, la moglie si è suicidata, e con problemi di mal di schiena che risolve dormendo sul pavimento.
Ottima idea. Per vederli ho fatto le gare coi critici pischelli per accreditarmi alle proiezioni on-line. Altro inferno, poco adatto a chi ha più di 50 anni. Alla fine si capisce il meccanismo, ma intanto perdevo i posti migliori, perdevo anche qualche film interessante. Vallo a recuperare.
Ma il problema, almeno per me, è il rispetto delle regole all’interno di quelli che sono ambienti che conosciamo alla perfezione dagli anni ’70. Devono averci lavorato dei mesi per far funzionare in maniera anti-Covid delle zone e dei meccanismi che vivevano proprio grazie alla concentrazione di pubblico, di fotografi, di star.
Ha un bel dire Pedro Almodovar presentando la sua versione de “La voce umana” con Tilda Swinton (perso, battuto da tutti i critici pischelli nella corsa alla prenotazione, mi spiace), che il cinema ci salverà. Ma qua si sta tentando di recuperare quel che si faceva prima con mascherine e distanziamenti. E mi sembra molto faticoso. Certo.
Il cinema, che già stava allo stremo un anno fa, prima del Covid, vede Venezia come l’occasione per ripartire. Verso dove, non so. Se avessero avuto almeno “Tenet” di Christopher Nolan… ma sembra che la Warner dopo aver provato in tutti i modi di portarlo a Venezia, e sarebbe stato giusto dopo il lancio di “Joker” di un anno fa, si sia arresa seguendo la linea di farlo uscire a agosto contemporaneamente in 26 paesi. “The Disciple”, scritto, diretto e prodotto da Chaitanya Tamhane, pupillo di Alfonso Cuaron, è il tipico film da premio maggiore che non potrà non piacere alla giuria internazionale.
Tutto dedicato ai segreti della musica classica indiana, con vere star del canto dell’India settentrionale, come il cantante Aditya Modak, discepolo di Ram Deshpande. Il protagonista il giovane allievo di un maestro davvero poco in forma, povero e malato, figlio di un musicista vissuto nel culto di un altro cantante asceta.
Nel film lo vediamo sbagliare ripetutamente perché deve arrivare non a una tecnica, ma a una vita da santo tutta dedita alla musica. La sua guerra, oggi, è tornare alla tradizione della grande musica indiana in un mondo fatto di “X Factor” e di volgarità da musica pop. E campare con il poco che può dare la musica classica.
Visivamente bello e ricchissimo, con dei camera car meravigliosi per le strade di Mumbai di notte, è un film accattivante e assolutamente godibile anche per chi conosce poco o niente dell’argomento. Il protagonista, con baffi e senza, si esercita per tutto il tempo col suo Guruji, ma non sembra mai pronto ai segreti della musica che studia.
Con le donne, diciamo, ha dei problemi, sfiora la mano a una e poi le chiede scusa con un sms, e si sfoga poi con una serie di rasponi pratici ma pesantucci di fronte ai porno. Il suo è un lungo viaggio verso una forma d’arte complessa e dalle regole rigide, ma che, come tutte le forme d’arte, rivela poi trucchi e debolezze anche nei più grandi. “Meel Patthar/Milestone” di Ivan Ayr è un buon film di camionisti dalla vita dura che si muovono in un’India meravigliosa.
chaitanya tamhane the disciple
Il protagonista, Ghabil, deve affrontare i parenti della moglie che si è tolta la vita, che dovrà risarcire in denaro. Alla fine gli offrirà non so quante rupie e la licenza per vendere alcolici. Capiamo anche che lei si è uccisa perché pensava che lui la tradisse. E magari era vero. Buono. Con camion impossibili da guidare per strade altrettanto impossibili.
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