Marco Giusti per Dagospia
Quasi trent’anni fa, nel 1994, scoprimmo proprio a Venezia la prima stagione, oggi si dice così, di “The Kingdom”, folle tentativo di serializzazione popolare del mondo malsano di Lars Von Trier.
Non proprio un horror non proprio una commedia non proprio una sit-com su medici, infermieri e malati chiusi in un ospedale che non prometteva nulla di buono e nascondeva chissà quali segreti. Tutto girato con macchina a mano in continuo movimento. Un mal di testa.
Nel 1997 ci fu una seconda stagione, molto simile, e infine, davvero non so perché, Lars Von Trier è voluto ritornare ora, dopo 25 anni, al vecchio ospedale di “The Kingdom” e ai suo pazzi medici per una terza stagione di cinque ore complessive, “The Kingdom Exodus”, che dovrebbe chiudere la saga. La tecnica è quella degli anni '90. Come se il tempo non fosse passato. E anche gli eccessi di sangue e stravaganza.
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Per l’occasione riprende qualche vecchio personaggio rimasto, come il grandioso Udo Kier, nel ruolo di Fratellone, già Fratellino, una sorta di facciona gigante che sta morendo affogato dalle sue lacrime alla base dell’ospedale, mentre il suo enorme cuore è nascosto dietro qualche muro marcio. O come il figlio di Helmer, Mikael Persbrandt, pazzo come il padre, svedese che odia i danesi, e altri ne costruisce, come la vecchia Karen di Bodil Jorgensen, che riesce a spostare tutto con la telecinesi e sa come arrivare alle fondamenta dell’ospedale per incontrare Fratellino-Kier.
O come il medico Pontopidan di Lars Mikkelsen, ossessionato da una vecchia in carrozzella che incontra sempre sull’ascensore, una volta le hanno amputato una gamba, un’altra volta due gambe. O il satanasso Willem Dafoe. Un delirio, insomma, a suo modo divertente, specialmente quando Lars Von Trier prende di mira le pazzie svedesi e danesi o il mito dell’Ikea, e comunque armato di una logica tutta sua, come si vede nell’incredibile episodio del processo interno al dottore che ha riempito di botte Helmer.
Un vecchio medico-giudice, che vive chiuso in un sottoscala dove si fuma l’oppio e che morirà dopo aver pronunciato il verdetto, spiega la logica svedese con una storiella-metafora. Un fabbro aveva compiuto un atto malvagio e doveva essere privato della vita. Ma siccome era l’unico fabbro della città, mentre c’erano ben due panettieri, si preferì uccidere uno dei panettieri e lasciare in vita l’unico fornaio. Ecco. Ma l’arrivo del faccione gigante di Udo Kier piangente vale molti film di Venezia.
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