Marco Giusti per Dagospia
Accolto benissimo alla proiezione per la stampa stamattina e salutato come una bella sorpresa di un paese, l'Argentina, che ha non pochi problemi sociali, economici e di ogni altro tipo con l'arrivo di Milei, "El Jockey", presentato oggi in concorso, diretto da Luis Ortega, rampollo di una potente famiglia di gente di spettacolo, padre cantante madre attrice, è un'ambiziosa parabola un po' almodovariana un po' lynchiana, di vita-morte-rinascita con tanto di cambio di sesso di un celebre fantino rovinato dalle dipendenze e dalla insicurezza, Remo Manfredini (sì, come il famoso “Piedone” Manfredini, oriundo della Roma primi anni ’60), interpretato da un favoloso Nahuel Pérez Biscayart, che ricordiamo indimenticabile protagonista di "120 battiti al secondo" di Ruben Campillo.
Attorno a questo campione in totale crisi di identità, autodistruttivo, che si bomba di droghe per cavalli e sente le massime di un gruppo di vecchi gangster, capitana da Giménez Cacho, che lo tengono in pugno (“La scuola migliore è la disgrazia”), ma pronti a eliminarlo (“Se non vinci ti ammazzeranno”), gira la sua donna, la fascinosa Abril, anche lei fantina, incinta, interpretata dalla bellissima Úrsula Corberó,, la Tokyo di "Casa de papel", che ha a sua volta una mezza storia con un’altra fantina, la cilena Mariana Di Girolamo, già protagonista di "Emma" di Pablo Larrain.
E gira un mondo di mostri, amici, nemici, freaks, scommettitori che vedono Manfredini come una star da mungere. Non sapendo che si trova sull’orlo di un precipizio e che non sarà mai in grado di vincere il Gran Premio cavalcando il costoso cavallo, Mishima, che il boss ha fatto arrivare per lui dal Giappone.
Totale stravaganza, in gran parte costruita con situazioni coreografate di bella inventiva dove dominano le due ragazze sempre vestite da fantine, e il protagonista, che sfoggia un’espressione triste da Buster Keaton, ci riporta al mondo delle corse dei cavalli che non venivano frequentate al cinema da parecchio, diciamo, per noi, dai tempi di “Febbre da cavallo” di Steno. Non si sa cosa debba scontare Manfredini, che vediamo depresso fin dalla prima inquadratura e tornerà alla vita solo dopo una sorta di morte apparente e la sua trasformazione in Dolores/Lola una volta finito in carcere.
Ma è evidente che l’abito da fantino che indossa non è forse il suo. Anche se nella seconda parte il film di Luis Ortega sfocia un po’ in caciara, anche perché c’è troppe carne al fuoco, è assolutamente stiloso nella descrizione demodée del mondo delle corse, dei vecchi gangster che dormono bene solo quando ammazzano qualcuno, dei bar impossibili di Buenos Aires, per non parlare della fuga del protagonista dall’ospedale vestito da donna che si ribattezza Dolores. Molto divertente e molto originale.