Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, il tuo sito registra puntualmente come da un anno all’altro continui a precipitare verso il basso il numero di copie vendute dei quotidiani di carta. Lo fa non senza una vena di sadismo, la tua rivalsa alla supponenza con cui la buona parte dei giornali di carta accolsero vent’anni fa la nascita del tuo sito online. Sta via via succedendo ai giornali di carta e ai giornalisti che ci lavorano quel che tra fine Ottocento e metà del secolo scorso accadde alle zolfatare e alla caterva di operai che ci lavoravano, che l’intero loro segmento produttivo sparisse nel nulla.
“I giornali sono morti e sepolti”, mi dice l’edicolante dal quale compro ogni mattina i miei cinque quotidiani e che pure si trova in una posizione commercialmente eccellente. Dirimpetto alla Stazione Trastevere, un sito dove il pubblico di passaggio è tanto. Ebbene se c’è qualcuno che la mattina mi sta precedendo nel rivolgersi a quell’edicola, non è che sta comprando i giornali e bensì i biglietti della metropolitana. Nell’albergo di Procida dove ho trascorso una settimana di vacanze, un albergo atto alla buona borghesia le cui 15 stanze erano tutte occupate, io ero l’unico ad aver chiesto di procurarmi i quotidiani ogni mattina.
Trent’anni fa, ai tempi in cui lavoravo al Panorama che vendeva settimanalmente oltre mezzo milione di copie, se mi trovano sul vagone di un treno ad alta velocità un passeggero su due stava sfogliando il Panorama o l’Espresso. Oggi nessuno, la più parte sta cliccando chissà che. E del resto sarà anche quella una delle ragioni della crescente semi analfabetizzazione del prossimo con cui ci imbattiamo ogni giorno e di cui è un sintomo allarmante il degrado del nostro discorso pubblico corrente. Un discorso dove impazzano, nelle piazze e persino nei talk-show televisivi, quelli che le sparano più grosse di tutti.
giampiero mughini a stasera italia 3
Fermo restando che online c’è una quantità enorme di materiale utile e talvolta indispensabile _ a cominciare da questo sito di cui mi sto avvalendo _, stiamo assistendo all’agonia di un intero segmento produttivo. Non credo di sbagliare quando dico che sui giornali italiani sono stati radi gli accenni al fatto che l’istituto pensionistico dei giornalisti italiani, l’Inpgi, è tecnicamente fallito ed è stato dunque assorbito dall’Inps.
Detto in parole più prosaiche, d’ora in poi sarà il contribuente italiano a pagare almeno in parte le pensioni di noi giornalisti in pensione. Com’è noto sono i giovani giornalisti al lavoro che con i loro contributi pagavano le pensioni dei giornalisti ultrasessantacinquenni andati in pensione.
Ebbene, oggi un giovane giornalista al lavoro paga il più delle volte dei contributi che attengono a stipendi miserrimi con i quali andrebbero pagate le pensioni di quelli che sono andati in pensione dieci o venti o trent’anni fa, e che nella buona parte dei casi avevamo stipendi più che decenti. Semplicissimo, un sistema pensionistico siffatto non è sostenibile. Se non è un’agonia questa.
Quando io sono arrivato a Roma all’alba dei Settanta, i giornali di carta mi hanno assicurato dapprima due pasti al giorno cui aggiungere più tardi un po’ di companatico e più tardi ancora del vino di qualità. Oggi leggo di ragazzi che collaborano a siti online e che vengono pagati tre o cinque euro al pezzo.
Avessi un figlio le cui intenzioni sono quelle di scrivere su un giornale di carta (quello che per me resta il lavoro più ambito), mi lancerei giù dal balcone dalla disperazione. Non oso guardare negli occhi chi mi si avvicina a dirmi che quello, il lavoro nei giornali di carta, è il suo sogno. Lo sta dicendo uno che se non avesse al mattino la carta dei quotidiani da sfogliare e da stropicciare, si sentirebbe morire. E’ forse questo il sintomo più vero nell’indicare quanto sono vecchio e decrepito.