Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, mi è impossibile concordare con quanti nell’approvare o nel condannare lo Stato di Israele e la sua politica ragionano come se quello Stato, e la sua storia e la sua gente e la sua sopravvivenza e la sua implacabile annessione di territori palestinesi, fossero paragonabili a una qualche altra storia e destino politico di questo ultimo mezzo secolo.
Puoi stare dalla parte di Israele o contro, ma non puoi applicare a quello Stato i criteri abituali di interpretazione e di ragionamento. Israele è un unicum, con tutte le tragedie che ne conseguono. E difatti in nessun altro Paese poteva maturare un personaggio alla maniera del trentenne tenente colonnello Yonathan Netanyahu, il fratello maggiore dell’attuale primo ministro Israeliano, l’unico caduto (di parte israeliana nella celeberrima “operazione Entebbe” della notte fra il 3 e il 4 luglio 1976, quella con cui i reparti d’élite dell’esercito israeliano liberarono un centinaio di ostaggi caduti nelle mani di una gang terrorista metà tedesca e metà palestinese. Un “eroe” di una pasta e di una natura tale che solo la drammaticissima storia israeliana poteva formarlo.
Ti manca il fiato a leggere le lettere che Yonathan aveva mandato negli anni ai fratelli, agli amici, alla sua fidanzata (Lettere, con una introduzione di Michele Silenzi, liberilibri editore, sarà in libreria a giorni). A trent’anni di guerre lui ne aveva già fatte tre. Da comandante del Sayeret Matkal, l’unità che fa da apice delle forze speciali israeliane, di azioni segrete e rischiosissime ne aveva condotte non so quante.
Nei giorni che precedettero il decollo dei quattro aerei che puntarono sull’aeroporto ugandese, e da cui scesero un centinaio di soldati israeliani che si giocarono in pochi minuti il tutto per tutto a salvare i 100 e passa ostaggi detenuti nel vecchio terminal dell’aeroporto, Netanyahu aveva dormito poche ore. Tanto che si addormentò nelle ultime ore del viaggio in aereo, poco prima di andare a morire. L’azione l’avevano concertata nei minimi dettagli, riuscire a piombare nel Terminal prima che i terroristi aprissero il fuoco a sterminare gli ostaggi.
Era una questione di minuti, scendere dall’aereo, salire su macchine alla maniera di quelle che usava l’esercito ugandese, ingannare le sentinelle all’entrata dell’aeroporto, percorrere alla velocità di un fulmine i 200 metri che mancavano al terminal, sfondarne la vetrata, gridare in ebraico agli ostaggi di starsene sdraiati per terra, individuare e uccidere i quattro terroristi.
Ci riuscirono, e seppure a fare combutta con i terroristi tutt’attorno al Terminal ci fossero i soldati ugandesi. I quali effettivamente intervennero e spararono. Venivano da loro le pallottole che colpirono al petto il tenente Netanyahu e uccisero due degli ostaggi (un terzo ostaggio era stato ucciso dagli israeliani che lo avevano scambiato per un terrorista).
Netanyahu era un soldato di un’eccellenza e di un coraggio senza limiti.
Solo che non aveva affatto i tratti del militare di professione. Era un intellettuale, aveva studiato negli Usa e avrebbe potuto fare carriera universitaria da quanto era bravo, e gli avevano fatto offerte in tal senso, e ancora nelle sue ultime lettere alla fidanzata ripete che a lui piacerebbe tornare ad Harvard, studiare, fare esami. Se restava nell’esercito, e per giunta in un reparto di tale ardimento militare, era solo perché lo reputava un dovere verso il suo popolo, verso la sua gente, verso uno Stato che le guerre se le fa le deve vincere, perché altrimenti viene spazzato via. Un unicum, lo abbiamo detto.
Ve ne sta parlando uno che è sensibilissimo alle ragioni del popolo palestinese e alla sua sofferenza. Solo che a mettermi nei panni del tenente colonnello cui venne ordinata la missione di Entebbe, e se penso al modo in cui lui e i suoi soldati la portarono a termine, ne traggo un’ammirazione sconfinata per loro.
Erano andati a salvare gente che i terroristi avevano “selezionato” perché ebrei. E me li ricordo gli imbecilli della mia generazione che protestarono contro quella operazione (che adesso porta il nome di “Operazione Yon”, dal nome di Netanyahu) e giunsero al parossismo di approvare i tipografi di una piccola casa editrice italiana che s’erano messi in sciopero pur di non fare stampare un libro che raccontava quel che era successo a Entebbe.
Giampiero Mughini