WOODSTOCK '69, FU VERA GLORIA? MASSIMO COTTO: “SI CELEBRA NON QUEL CHE È STATO, MA CIÒ CHE POTEVA ESSERE: UN SOGNO LUNGO E BELLO, UN'IDEA CHE POTEVA TRASFORMARSI IN REALTÀ - QUEL CHE RIMANE È LA MUSICA. ALLA FINE, LE IMMAGINI PIÙ BELLE SONO DUE. UNA È DI JIMI HENDRIX, CHE FIRMÒ UN'IRRIPETIBILE VERSIONE DELL'INNO AMERICANO. L’ALTRA E’ DI… - LA FESTA PER I 50 ANNI, SE CI SARA', SI FARA' A 1000 MIGLIA DAL LUOGO ORIGINARIO...- VIDEO

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Massimo Cotto per “il Messaggero”

 

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Chi c'era può battersi le mani, gli altri possono solo mangiarsele. Cinquant'anni fa, dal 15 al 17 agosto 1969, andava in scena contemporaneamente il più importante festival rock (anche se non il più bello, quello fu Monterey, anno di grazia 1967), il più splendido paradosso della musica popolare e la più grande delle illusioni: il festival di Woodstock, qualcosa che in breve travalicò il suo senso musicale per diventare simbolo di un nuovo modo di pensare, essere, agire.

 

Oggi, per festeggiare degnamente le nozze d'oro, Michael Lang, che nel 1969 fu il principale promotore, sta cercando in tutti i modi di replicare quel raduno, incontrando enormi difficoltà. Le notizie dell'ultima ora dicono che se ci sarà, non sarà nel luogo originale, ma lontano mille miglia: a Columbia, nel Maryland, al Merriweather Post Pavillon, un anfiteatro naturale che può contenere al massimo 20 mila persone. Niente, in confronto alle 500 mila che fecero di Woodstock il più fantasmagorico dei festival dello scorso millennio.

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LA GLORIA

Woodstock sta al rock come il 68 alla società italiana. Con una sostanziale, enorme differenza: ogni volta che ci si avvicina all'anniversario del 68, scatta implacabile la triade di domande: fu vera gloria? Ha cambiato davvero qualcosa o tutto è stato assorbito dal sistema? Quali valori sopravvivono di quel movimento? Su Woodstock, invece, tutti sembrano d'accordo nell'identificare in quei tre giorni il punto più alto e puro dell'essenza rock, il momento di cristallizzazione di un sogno, quello che il rock potesse diventare la mappa di un nuovo mondo che aveva come capitali le tre parole più usate in quel raduno: pace, amore, musica.

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Io vado controcorrente. Rivolgo a me stesso e al mondo del rock le stesse domande riservate al 68: fu vera gloria? Ha cambiato davvero qualcosa o tutto è stato assorbito dal sistema? Quali valori sopravvivono di quel movimento?

 

Ma andiamo con ordine a analizziamo i fatti, partendo dal primo, grande paradosso: a Woodstock non c'è stato nessun concerto, mai, perché le autorità cittadine, dopo aver analizzato a fondo i possibili benefici, ma anche i sicuri rischi di un festival di quelle dimensioni in una cittadina di 7 mila abitanti, all'ultimo momento decisero di non concedere l'autorizzazione.

 

nick e bobbi ercoline nick e bobbi ercoline

Gli organizzatori, disperati, si misero alla ricerca di un'altra sede, che individuarono a Bethel, a 87 chilometri da Woodstock, dove una signore chiamato Max Yasgur, un contadino di origini russo-ebraiche nonché principale produttore di latte della contea, era proprietario di un enorme campo in grado di ospitare tutta la gente del mondo. Sui biglietti era già stato stampato il nome di Woodstock e dunque Woodstock fu. Per la storia, non per la geografia.

cerimonia d apertura a woodstock 14 agosto 1969 cerimonia d apertura a woodstock 14 agosto 1969

 

Secondo paradosso: Yasgur era un reazionario, lontano mille miglia dagli ideali hippie. Diede in affitto il suo campo senza pensarci troppo. Del resto, gli organizzatori si aspettavano al massimo 40 mila persone. Yasgur divenne quindi un eroe della controcultura, santificato da quei figli dei fiori di cui non condivideva alcun ideale.

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Terzo paradosso: quel sogno che pareva infrangibile, quell'utopia pacifica e folle che la musica potesse fermare persino le guerre («mettete dei fiori nei nostri cannoni», per semplificare) annegò miseramente tre mesi dopo, ad Altamont, durante un concerto dei Rolling Stones.

 

Gli Hell's Angels, inspiegabilmente utilizzati come servizio d'ordine, uccisero a coltellate un ragazzo, Meredith Hunter, mentre cercava stupidamente di raggiungere Mick Jagger sul palco. Nelle immagini si vede chiaramente che Hunter impugnava una pistola, che, tuttavia, non fu mai ritrovata. Poco importa. Conta che quella fu la fine del sogno. Game Over.

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VITA BREVE

Ecco perché sorrido nel vedere come Woodstock continui a essere celebrato anno dopo anno. Non che mi dispiaccia, anzi. È solo che non ho mai visto un accadimento della storia ricevere tanti peana pur avendo conosciuto una vita e un'influenza così brevi nel tempo. Forse, a bene vedere, è questo il quarto paradosso: celebrare non quel che è stato, ma ciò che poteva essere: un sogno lungo e bello, un'idea che poteva trasformarsi in realtà come a Cana Gesù trasformò l'acqua in vino.

 

Di sicuro, quel che rimane è la musica. Straordinaria. Crosby, Stills, Nash & Young e Johnny Winter, Who e Jefferson Airplane, che simboleggiavano due diverse rivoluzioni, quella dei mods inglesi e quella psichedelica dei ragazzi californiani. Joan Baez, al sesto mese di gravidanza, che commuove con We Shall Overcome e le canzoni di Dylan. E poi Joe Cocker che lancia l'urlo che lo manderà dritto nella storia, quel ruggito incredibile che trasforma With A Little Help From My Friends dei Beatles da deliziosa marcetta a inno esistenziale.

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I Ten Years After e The Band di Robbie Robertson, Sly & The Family Stone e Santana, gli immensi Creedence e i lisergici Grateful Dead, la cui esibizione fu purtroppo segnata da problemi tecnici. Se ne accorsero in pochi, perché erano tutti troppo fatti di erba o troppo assorbiti dalla bellezza di un rito collettivo che si stava compiendo, tra la pioggia che cadeva e la musica che diluviava. Nessuno si rese neanche conto che Janis Joplin salì sul palco imbottita di droghe e incapace di dare il meglio di sé. Alla gente bastava che ci fosse, che fosse lì a condividere quel momento.

 

LE IMMAGINI

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Alla fine, per me, le immagini più belle sono due. La prima è la copertina del disco triplo, che ritrae Nick e Bobbi Ercoline, due ragazzi che stavano insieme da pochi mesi e che il fotografo immortalò in una foto che fece epoca: loro due avvolti da una coperta, per ripararsi dal freddo e proteggere il loro amore; ci sono riusciti, perché stanno ancora insieme, cinquant'anni dopo.

 

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La seconda è di Jimi Hendrix, che firmò un'irripetibile versione di The Star Spangled Banner, l'inno americano. Come a dire: cambiamo la storia, cambiamo musica. Jimi fu il più pagato delle star che si esibirono a Woodstock, tanto che Michael Lang si lasciò scappare una frase a mezza voce, detta ai suoi collaboratori, che, intercettata, procurò qualche ora di panico: «Che nessuno si lasci scappare quanto prende Hendrix». In una foto si vede lui, che morirà poco dopo, con giacca bianca ornata di perline, jeans, catenina al collo e bandana in testa.

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Ha gli occhi socchiusi, guarda la chitarra. Sembra distante da tutto e da tutti. Come se attorno a lui non ci fosse nulla e nessuno. Come se avesse in qualche modo capito che quel sogno oceanico di smuovere le masse e costruire un mondo alternativo era destinato a spegnersi come sigaretta nel vento. Hendrix è perso nel suo, di mondo. In un festival che aveva cercato di toccare le corde giuste, lui continuava a toccare le corde della sua chitarra.

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