MATTIA MARZI per il Messaggero
Primo album di cover in quarant' anni. E prima esperienza come doppiatore. A 66 anni Zucchero si mette in gioco. Lo fa incidendo un disco, Discover, nei negozi da venerdì 19 novembre, contenente canzoni non scritte da lui (tranne Luce, che firmò per Elisa e che ora cantano insieme): da The Scientist dei Coldplay a Fiore di maggio di Concato, passando per Natural blues di Moby (con Mahmood),
Con te partirò di Bocelli e Ho visto Nina volare di De André (cantata in duetto virtuale con lo stesso Faber: «Non lo conoscevo, ma a quel brano sono legatissimo»). C'è anche Canto la vita, versione in italiano di Let Your Love Be Known di Bono, incisa insieme allo stesso frontman degli U2:
«È stato divertente prestare la voce nella versione italiana del film d'animazione Sing 2 (nelle sale dal 23 dicembre, ndr) al personaggio di Clay Calloway, il leone rockstar che lui doppia nell'originale», sorride Zucchero. Nel disco non c'è Nel blu dipinto di blu, che in progetti del genere non manca mai. «Volare ha stufato, con tutto il rispetto per Modugno», disse.
La pensa sempre così?
«Sì. Quando vai all'estero sembra che la musica italiana si sia fermata lì. Rientra nell'elenco dei luoghi comuni: Spaghetti, pizza e Volare. Menomale che ora ci sono i Maneskin».
Hanno aperto anche per i Rolling Stones.
«Io l'ho fatto prima di loro, in Austria e in Francia. Era il '95. La scorsa estate Jagger mi ha pure invitato al suo compleanno, in Toscana. Gli ho dedicato Con le mie lacrime, la versione in italiano di As Tears Go By».
E lui?
«Si ricordava le parole, l'abbiamo cantata insieme».
Torniamo ai Maneskin. Volevo fare Honky Tonk Woman proprio degli Stones insieme a loro, ma erano in giro. È notevole che abbiano tutto questo seguito. Musicalmente sono come la scoperta dell'acqua calda. Ma hanno riempito un vuoto quanto a trasgressione e irriverenza».
Come ha scelto le canzoni dell'album?
«L'idea di base era evitare di cantare brani già ampiamente coverizzati». Però c'è Con te partirò, di cui esistono numerosissime versioni. «Una sera Bocelli, per il quale avevo già scritto Il mare calmo della sera, me la fece ascoltare in anteprima. Non ne era convinto. Gli dissi: Sei pazzo? È straordinaria. L'ho fatta mia, togliendo la pomposità dell'orchestra e trasformandola in un pezzo minimalista».
Nel 2022 cadranno i quarant' anni dal suo primo Sanremo. Li festeggerà all'Ariston, come superospite?
«Ci sono stato già troppe volte. Non è nei piani, almeno per ora». Poi magari ci va. E canta Nel blu dipinto di blu. «Quello proprio no».
Il 29 maggio 2022 suonerà a Berlino con Eric Clapton. Che ne pensa delle sue uscite no-vax?
«Chissà dove sta la verità». Scusi? «È tutto così nebuloso, le informazioni non sono chiarissime». Ma lei si è vaccinato, almeno? «Sì. Ma non me la sento di schierarmi né da una parte né dall'altra».
LITTLE STEVEN
Da Oggi
«I Måneskin? Sono andato al loro concerto a New York e sono rimasto sorpreso: non ho mai sentito un pubblico entusiasmarsi così per una rock band. La folla cantava ogni parola in italiano, le ragazze urlavano. Era emozionante, mai vista una cosa così».
Parola di Little Steven, alias Steven Van Zandt, il chitarrista e leggendaria spalla di Bruce Springsteen che racconta a OGGI, in edicola da domani, il suo incontro con la band italiana del momento. «L’Italia può essere molto orgogliosa di loro: hanno riportato il rock alla ribalta».
E nell’articolo che Oggi dedica alla Måneskinmania sono molti i musicisti ed esperti che dicono la loro sulla band romana. «La provocazione c’è, basta sentire Zitti e buoni. Sono trasgressivi, tengono il palco, alla loro età cosa si può chiedere di più?», osserva Red Canzian dei Pooh. «Comunicano una vitalità pazzesca. E poi se vinci l’Eurofestival significa che qualcosa da dire ce l’hai», osserva Iva Zanicchi.
Non mancano le critiche: «I Måneskin rivoluzionari? Ma dai, il rock è un’altra cosa...», esclama Ivano Michetti dei Cugini di Campagna. «Non non si apre il concerto dei Rolling Stones portando solo due pezzi e poi andando avanti a cover…». Ma Franz Di Cioccio, leader della PFM, unico gruppo che molti anni fa ebbe successo negli Stati Uniti, stempera: «Certo, i social sono un bell’aiuto, a loro basta un click, noi ci conquistavamo i territori e le notizie dei nostri successi all’estero arrivavano in Italia un mese dopo. Ma io gli auguro il meglio: che il rock sia sempre con loro».
Proprio con la PFM fa un paragone il collaboratore di OGGI Armando Gallo, giornalista che racconta da decenni cinema e musica prima da Londra e poi dall’America: «Nel 1974 la PFM fece una decina di concerti prima di arrivare al Long Beach Arena con 10 mila spettatori. Se ne parlarono i giornali? Certo… Per i Maneskin solo Variety… Il loro talento è chiaro e caldo come la luce del sole a Ferragosto… dire che hanno conquistato l’America con il rock italiano, ecco, mi sembra un pelino azzardato».
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