Camilla Mozzetti per il Messaggero
A guardarla dritto negli occhi, neri e profondissimi, pieni di paura verrebbe voglia soltanto di abbracciarla. E avere il timore, al contempo, di farle del male. Così piccola e minuta, Angela (il nome è di fantasia) ha 21 anni, ma sembra una bambina, e cinque giorni fa è stata stuprata nel magazzino della discoteca Factory club a piazzale dello Stadio Olimpico da tre uomini ora ricercati dagli agenti di polizia della Squadra Mobile di Roma, diretta da Luigi Silipo.
Sul suo volto, pulito da ogni traccia di trucco, spiccano soltanto i suoi occhi sbarrati: «Nessuno sussurra dopo esser uscita di casa deve sapere quello che mi è successo. Nessuno deve capire che quella ragazza sono io, i miei genitori non sanno nulla». Loro, da che la famiglia ha lasciato l' Etiopia arrivando nella Capitale, si sono preoccupati di far studiare i figli per permettergli un futuro migliore, alzandosi ogni giorno quasi all' alba per andare a lavorare. «Persone umili e dignitose, sempre puntuali nel pagamento delle rate condominiali dice un vicino e sempre pronte a salutare». Angela è come i suoi genitori: si ferma mentre a passo svelto percorre uno dei tanti marciapiedi deturpati di Roma.
Prova a gettare indietro le lacrime e quelle poche che sono lì in bilico, pronte a rigarle ancora una volta il viso, le argina con le dita di una mano. Non porta neanche lo smalto, indossa solo degli anelli: preziosi sicuramente per il significato che hanno più che per il materiale di cui sono composti. Fa caldo ma lei ha freddo, si stringe nel k-way a coprire una semplicissima maglietta a righe. Scarpe da ginnastica e zainetto in spalla sembra quello che è: una ragazza normalissima, con una testa piena di capelli neri, ricci e fittissimi, che vive in una periferia della Capitale e che è finita dentro un vortice di violenza e squallore.
Angela, cosa è successo sabato sera?
«Ero uscita con degli amici, era sabato, volevamo solo divertirci, passare una sera in allegria come facciamo spesso, avevamo deciso di andare in discoteca e poi...».
Poi dopo un po' è uscita dal locale...
«Non ci voglio più pensare, voglio soltanto dimenticare quella serata, buttarmela dietro.
Cancellarla, pensare e convincermi che non sia mai avvenuta, che sia stato solo un incubo, perché i miei genitori non lo sanno e non lo dovranno mai sapere».
Non si è confidata con nessuno in cerca di aiuto, di conforto?
«Non l' ho detto neanche ai miei fratelli, nessuno lo deve sapere eccetto la polizia e nessuno deve capire che quella donna sono io perché sarebbe un inferno, un altro».
Era la prima volta che entrava al Factory Club?
«No, ci ero stata altre volte».
E questi uomini li aveva mai visti?
«Non lo so, non ricordo, sono uscita dal locale con un ragazzo che avrà avuto la mia età o forse qualche anno in più, si è avvicinato dentro alla discoteca, gli altri due, quelli che poi sono arrivati, non li ho visti bene, era buio».
È uscita da sola da quel magazzino cercando aiuto.
«Sì, è stato orribile, non voglio più parlarne».
Il locale non aveva videocamere di sorveglianza, ma gli investigatori hanno sequestrato le immagini scattate dal fotografo durante la serata, per cercare di risalire così ai suoi aggressori. Le ha viste?
«Devo rivederle, spero che li prendano ma io voglio soltanto scordarmi tutta questa storia per il bene mio e della mia famiglia che non deve soffrire come me».
bosco delle fragole factory roma