Roberta Salvadori per "www.corriere.it"
Il rischio ossessione
Invitare a cena un gruppo di amici è sempre più difficile: è diventata un’impresa fare contenti tutti, con un solo menu. C’è chi non mangia glutine, chi ce l’ha col colesterolo, guai al lattosio, alla larga dai grassi e così via. In pratica 74 italiani su 100 (sondaggio Istituto IXé) escludono qualche componente dalla propria alimentazione.
Per qualcuno (in caso di allergie specifiche, gravi intolleranze, problemi dietetici), le limitazioni sono prescritte dal medico. Per altri invece si tratta di scelte spontanee, ritenute salutistiche da chi le adotta. Per pochi (ma in crescita in tutti i Paesi sviluppati), la scelta di mangiare senza… qualcosa, si potrebbe addirittura configurare una vera ossessione per il cibo sano, cioè quello ritenuto, a torto o a ragione, privo di elementi nocivi per l’uomo e per l’ambiente.
Questo recente disturbo del comportamento alimentare ha già un nome: ortoressia, e che, secondo il ministero della Salute, in Italia interessa per il momento circa 300 mila persone. Però: «l’abitudine di escludere, dalla propria alimentazione questo o quello, senza che ci sia una reale indicazione medica, può portare a diete squilibrate, troppo povere di proteine, vitamine, oligoelementi», avverte Marco Silano, direttore del reparto Alimentazione, nutrizione e salute dell’istituto superiore di sanità.
Il fatto è che, data la richiesta crescente, i banchi dei supermercati grondano di prodotti a cui è stato sottratto questo o quell’elemento. Facciamo dunque un piccolo slalom con l’aiuto degli specialisti, fra i «senza» più comuni.
Senza zucchero
Lo zucchero da tavola, o saccarosio (disaccaride formato da glucosio e fruttosio), si può trovare normalmente in molti prodotti confezionati, soprattutto in marmellate, bibite, biscotti ma anche in yogurt, cereali da prima colazione, succhi di frutta ecc. «La riduzione quotidiana di saccarosio è indicata per chi soffre di diabete, obesità, malattie cardiovascolari.
Per gli altri, bisogna intendersi: fino al 10 per cento delle calorie quotidiane da zucchero da tavola è consentito per gli adulti», afferma Silano. Questo significa che su 1500 calorie al giorno, 150, pari a meno di 40 g al dì, sono permesse dai nutrizionisti. Quindi, violentare il proprio palato per negargli un po’ di dolcezza, in genere non è necessario. Nemmeno per dimagrire. Secondo lo specialista: «la sensibilità individuale allo zucchero può variare da persona a persona.
Non tutti, diminuendo lo zucchero, riescono a dimagrire. La dieta deve essere personalizzata per funzionare». In ogni caso, chi opta per i prodotti sugar free, dovrebbe tenere d’occhio le etichette nutrizionali. La scritta in etichetta senza zucchero/i aggiunti, non esclude di per sé la presenza di zuccheri semplici nel prodotto alimentare (per esempio le marmellate, contengono pur sempre il fruttosio, naturalmente presente nella frutta).
«Oltre a quello che non c’è, il consumatore dovrebbe sempre controllare sull’etichetta nutrizionale che cosa è stato introdotto in quell’alimento al posto dell’ingrediente mancante al fine di ottenere un prodotto finale ugualmente appetibile», avverte Marisa Porrini, direttore del Dipartimento di scienze per gli alimenti, nutrizione e ambiente, Università degli studi di Milano. «In pratica, se un prodotto è dolce, o contiene zuccheri o additivi dolcificanti», precisa l’esperta.
Senza lattosio
Il lattosio (costituito da glucosio e galattosio) è il classico zucchero del latte. Se ne trova soprattutto in formaggi molli, gelati, latti fermentati, panna ecc. «Chi non lo tollera, non può che cercare di evitarlo», ammette Silano. Secondo l’Efsa, l’intolleranza al lattosio nella dieta può infastidire 7 persone su 10. In genere non è assoluta ma i livelli possono essere molto vari.
Prodotti industriali dichiarati senza lattosio sono, fra gli altri latti vegetali e bevande di cocco, mandorla, soia, riso; latte privato della lattasi, certi biscotti ecc. In ogni caso, occhio alle etichette. Per non contenere lattosio, un prodotto non deve riportare in etichetta, oltre al latte, nemmeno siero, caglio e sottoprodotti del latte.
«Certo, la rinuncia a latte e latticini comporta anche la rinuncia a elementi come calcio, fosforo, importanti per le ossa fino a 25 anni di età, cioè fino a quando lo scheletro è in costruzione. Ma le persone adulte, dopo la crescita, se vogliono, possono farne a meno, senza particolari danni», spiega lo specialista.
Senza glutine
Viene dagli Stati Uniti la moda di mangiare cibi senza glutine, (la proteina del frumento formata da gliadina e glutenina) nella convinzione che questa scelta sia più salutare e aiuti a perdere peso ma in realtà non è cosi. «Sono solo i celiaci con diagnosi certa di celiachia, che devono obbligatoriamente togliere non solo il glutine ma anche frumento, orzo, farro dalla propria alimentazione», avverte Silano.
«Per tutti gli altri, la rinuncia a pane, pasta ecc. significa privarsi di elementi importanti per la dieta: carboidrati complessi, proteine vegetali, fibre, sali, vitamine. Non solo. L’uso di prodotti gluten free può comportare anche qualche inconveniente per la linea.
I prodotti senza glutine in commercio possono essere più ricchi di calorie, perché sono in genere addizionati di grassi, hanno un minore effetto saziante e un più alto indice glicemico, che comporta un maggiore aumento dello zucchero nel sangue dopo il loro consumo».
Senza colesterolo
«Chi ha problemi di colesterolo alto e quindi è a rischio di patologie cardiovascolari come l’infarto, deve stare attento a evitare non tanto al singolo prodotto, dichiarato senza colesterolo, quanto regolare la propria dieta nel suo complesso», osserva Andrea Ghiselli, nutrizionista, ricercatore del Crea (Centro Ricerca Alimenti e Nutrizione).
Il fatto è, puntualizza lo specialista, che ben l’80 per cento del colesterolo che può intasare le nostre arterie, viene prodotto dal nostro stesso organismo. L’alimentazione quotidiana può influire solo sul restante 20 per cento. «E il modo migliore per tenerlo sotto controllo consiste nel mangiare soprattutto, verdura, cereali integrali e un po’ di frutta, secondo le classiche indicazioni della dieta mediterranea» conclude Ghiselli.
La questione additivi
Coloranti, addensanti, conservanti, ecc. Sono centinaia i composti chimici consentiti dalla legge, perché considerati sicuri per la salute, che l’industria può aggiungere nei prodotti alimentari perché non si deteriorino troppo presto, non ci intossichino e per migliorarne gusto e appetibilità. «Eppure, fra tutti i possibili senza, che troviamo sulle etichette, l’eliminazione degli additivi è particolarmente delicata», afferma Ernestina Casiraghi, docente di Tecnologie alimentari all’Università Statale di Milano.
Il fatto è, spiega la specialista, che gli additivi possono essere indispensabili per la produzione di molti alimenti. Per esempio conservanti e antiossidanti garantiscono sicurezza e durata di conserve a base di carne e pesce. Meno necessari ma pur sempre importanti, gli aromatizzanti migliorano l’appetibilità dei prodotti. I coloranti ne migliorano l’estetica e così via.
«Oggi l’industria alimentare tende a usare meno additivi chimici possibile», afferma Casiraghi. Ma chi vuole limitarne il consumo deve rassegnarsi a controllare le etichette nutrizionali senza affidarsi esclusivamente alle dichiarazioni sulle confezioni. È inutile scegliere, per esempio, un prodotto senza coloranti, se poi, quello stesso prodotto è pieno di aromi. La strategia migliore è mangiare prodotti freschi e poco elaborati.
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