Massimiliano Peggio per “La Stampa”
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Teorico delle crudeltà educative acclamate dal popolo No Pass è un idraulico di Cremona, 53 anni. Sogna di trasformare le alberate di Roma in un patibolo nazionale. «Appendiamone uno per ogni pianta e lasciamoli a marcire così saranno di monito».
«Questo non è il tempo del pacifismo, è il tempo della rivolta». «Draghi è uno, noi due milioni». Il rider di Pescara, 41 anni, è un nostalgico rivoluzionario. «Meglio impiccarli e ghigliottinarli. Bisogna eliminare tutti dal parlamento e metterci persone oneste: se sbagliano vengono ghigliottinati. Andiamo a dare fuoco a tutto». Come? «Con un lancio sincronizzato di molotov».
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Il disoccupato di Treviso, 33 anni, scrive con piglio da sergente. «Scendete in piazza e prendete a mazzate quelli della Digos». Il dipendente sanitario di Pesaro, 55 anni, si spinge ai confini dell’olocausto. «Eliminazione totale e completa». Il pizzaiolo di Salerno, 61 anni, freme dal desiderio di vendetta. «Quando andiamo a impiccare ’sti venduti schifosi? Muoviamoci».
Il consulente del lavoro di Pordenone, 51 anni, lancia minacce divinatorie. «Il presidente della Regione Toscana morirà presto. Impiccarlo è un dovere morale». La blogger di Siena, 51 anni, con pochi seguaci per la verità, dispensa idee sovversive viscerali. «Mandate a Roma plichi di escrementi».
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La parrucchiera di Torino, 43 anni, la «Giovanna d’Arco» della piazza No Vax, che ad ogni manifestazione istiga il popolo ribelle a non aver paura della polizia. Il disoccupato di Palermo, 54 anni, trascorre il suo tempo libero in chat a proporre di «schiacciare i politici, in primis Mattarella».
E suggerisce punizioni chimiche esemplari ai giornalisti. «Bastardi maledetti vanno spazzati via, messi al muro e usati come bersaglio. Tutti bersagli di lanci di bottiglie di acido».
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Ecco l’armata del furore social. Dei conquistatori di like e di faccine combattenti anti vaccini, anti Green Pass, anti restrizioni, anti sistema. Usavano il canale Telegram «Basta Dittatura» come palestra di ferocia verbale, prima che venisse bloccato su iniziativa della procura di Torino, lo scorso settembre.
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Nel corso dei mesi precedenti, a margine della pandemia e sull’onda della protesta contro i certificati verdi, era diventata una chat nazionale tra le più seguite. Più di 40 mila iscritti. Sostenitori in ogni angolo d’Italia. Agli albori le discussioni ruotavano su fantacospirazioni e rimedi alternati al Covid.
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Poi con l’introduzione dei Green Pass e la diffusione dei presidi nelle piazze, il canale si è trasformato in bacheca per appuntamenti di protesta. E soprattutto in sfogatoio nazionale senza freni, né filtri da parte della società che gestisce Telegram. Messaggi rabbiosi a raffica. L’appello a bloccare le stazioni ferroviarie, sfumato poi in un flop. Odio e applausi.
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Così, dopo il crescendo di minacce a politici, scienziati, giornalisti, e la diffusione di dati sensibili, come indirizzi di casa e luoghi di villeggiatura, tra cui quello amato dal Presidente Mario Draghi in Umbria, è iniziata l’indagine della Digos e della polizia postale.
Inchiesta sfociata ieri in perquisizioni e avvisi di garanzia. Diciotto indagati per istigazione a delinquere con il ricorso di mezzi telematici, istigazione a disobbedire le leggi, e l’aggravante terroristica. Chi semina vento raccoglie tempesta.
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Nel corso delle perquisizioni sono stati trovati oggetti e documenti, sequestrati cellulari e pc. Al militante di Palermo è stata sequestrata una tanica da 5 litri di acido cloridrico. A Brescia una balestra, alcune baionette e un vecchio fucile. Al teorico di Cremona alcuni coltelli, alla blogger senese un vecchio passaporto nazista.
Nel contesto dell’indagine, la Digos ha anche notificato fogli di via a due referenti torinesi del movimento No Pass: uno alla parrucchiera, Rosa Azzolina, e un altro a Francesco Centineo, quest’ultimo però non indagato.
Qual è stata la reazione degli irriducibili? «Grazie alla vostra indagine date forza per continuare la battaglia» si leggeva ieri tra i commenti affidati a un altro canale gemello, con 9 mila iscritti.
Tra gli indagati, però, c’è un pentito. Un barista torinese di 44 anni. «C’è da picchiare e da ammazzare. Svegliatevi» diceva mesi fa. Ieri, dopo l’arrivo della polizia, era di tutt’altra idea. «È stato un sfogo, tornassi indietro non lo rifarei. Ho detto quelle cose perché ero disperato per le spese e per il poco lavoro. Ho due figli da mantenere. Desidero solo continuare la mia attività».