Lorenzo Rotella per “La Stampa”
Le chiacchiere sono finite e la lezione di scienze dell'alimentazione è già cominciata quando, alle 8,30 del mattino, dallo zaino di uno studente del secondo anno della sezione L dell'istituto alberghiero Amerigo Vespucci di Milano, parte una vampata di fuoco preceduta da un boato. Attimi di panico, qualche grido, il fumo che invade l'aula. A esplodere è stata una «power bank», ovvero una ricarica per cellulari portatile, che si trovava nella sacca di uno studente quindicenne.
Il panico si diffonde velocemente tra gli oltre mille ragazzi e ragazze che frequentano l'istituto, in via Valvassori Peroni, a ridosso della ferrovia di Lambrate. Molti si precipitano fuori dalle aule, il ricordo dell'ultima sparatoria americana è purtroppo ancora vivo.
Ma, grazie al cielo, non c'è nessun pazzo armato in giro per la scuola.
Il fatto però che ad esplodere sia stato un oggetto così comune e in possesso di centinaia di ragazzini, fa scattare l'allarme. C'è chi fa fatica a respirare e chi inizia a tossire. Le finestre vengono spalancate, mentre l'alunno prende il suo zaino ancora fumante e si precipita in cortile lanciandolo lontano.
Nel giro di pochi minuti due ambulanze arrivano sul posto allertate dall'istituto. Poco dopo interviene anche una volante della polizia insieme al personale di Ats per effettuare gli accertamenti. Tutto il piano superiore del plesso viene fatto evacuare. Nel trambusto generale una sedicenne si sente male e viene portata via in codice rosso al San Raffaele.
Le sue condizioni non sono gravi, ma a causa di una patologia pregressa e data la confusione del momento, il personale medico ha preferito intervenire. Il bilancio della classe in cui è esploso lo zaino, invece, ammonta a sette persone lievemente intossicate: sei alunni e la docente.
Per quasi tutti non si sono rese necessarie cure mediche, ma due quindicenni (un ragazzo e una ragazza) sono stati trasportati in codice verde alla clinica De Marchi per un controllo più specifico, per poi essere dimessi già in mattinata.
Ipsar Amerigo Vespucci milano 1
Spavento a parte, quindi, nessuno rimane ferito e le lezioni riprendono con tranquillità nelle ore successive, con la 2L che torna agibile in poco tempo. La dirigenza della scuola minimizza: «Abbiamo chiamato i soccorsi solo perché i ragazzi erano spaventati. Ma in poco tempo tutto è tornato normale», dice il preside Luigi Costanzo. Lo studente con lo zaino esploso aveva comprato la power bank due anni fa e non la stava utilizzando quando un cortocircuito - questa l'ipotesi più accreditata - ha generato l'autocombustione.
Per la precisione, si tratta di una batteria agli ioni di litio ricaricabile che serve a fornire energia elettrica ai dispositivi mobili che utilizziamo tutti giorni come gli smartphone, i tablet, i computer, gli smartwatch e le cuffie wireless. Uno strumento che deve però essere usato in maniera corretta per ridurre al minimo i rischi, dato che funziona mediante un processo chimico che ruota attorno a due elementi: l'anodo e il catodo.
Quando la batteria si carica, gli ioni passano dal catodo all'anodo. Quando invece si scarica, compiono il processo inverso. In entrambi i casi vengono dissolti in una sostanza chiamata elettrolita, composto organico e infiammabile. Questo può essere stato uno dei motivi scatenanti, anche se in ogni caso devono verificarsi determinate condizioni che vadano al di là del normale utilizzo.
La temperatura è un altro fattore importante: l'ossido di cobalto di cui è composto il catodo può avere difetti di durata, riducendo la sua autonomia nel tempo, e un punto di temperatura media di 150 gradi, che se superata produce surriscaldamento e porta alla combustione o all'esplosione.
C'è infine comunque sempre la possibilità di un difetto di fabbricazione o che il cavetto di alimentazione fosse danneggiato, oppure vicino a un telefono usato da poco e quindi surriscaldato. Tutte cose che ora gli inquirenti dovranno accertare.
ARTICOLI CORRELATI