Paola Pollo per il “Corriere della Sera”
L' ultimo dei couturier , Emanuel Ungaro, è morto sabato a Parigi. Aveva 86 anni. Se n' è andato come avrebbe voluto, fra le persone che più amava al mondo, sua moglie e musa e amica Laura Bernabei, e sua figlia Cosima. Oggi lo saluteranno con una cerimonia intima. Al personaggio incredibile che è stato non sarebbero piaciuti i riflettori e i commiati in pubblico.
Colto, raffinato, sensibile.
Un uomo straordinario, d' altri tempi se quelli di oggi non possono essere vissuti come lui amava, tra la bellezza e l' intelligenza e la profondità e la gentilezza. Da anni si era ritirato dalle passerelle dopo essere stato, negli anni Ottanta, uno dei grandi protagonisti della moda francese. A maggio 2004, l' ultima sfilata. E poi la fuga romantica tra la sua musica, i suoi libri, i suoi fiori, nelle bellissime case di Parigi ed Aix en Provence.
Chiuse la porta dell' atelier in Avenue Montaigne dopo trentasei anni. Era il 1968 quando presentò la prima collezione couture: le ragazze per strada protestavano e lui liberava la donna rispettandone la femminilità e il corpo.
«Un abito - diceva - non deve essere portato, ma abitato». Sottinteso dalla padrona di casa. Creava drappeggiando sulle forme, accarezzando i fianchi e le spalle delle modelle, amava quei gesti. Era solo una semplice tela bianca, niente schizzi o tagli. Uno spillo dopo l' altro. E in avenue Montaigne le grandi stanze erano sempre occupate da decine e decine di stendini ai quali erano appesi questi capi-modello. Così nacquero meraviglie come l' abito diva.
Era un' esperienza unica vederlo lavorare con quella tecnica («Mio padre Cosimo faceva il sarto e io cucio da quando ho sei anni», diceva) nel silenzio assoluto, vestito di un camice candido, come un chirurgo dell' eleganza, con la musica classica che si diffondeva in ogni stanza. Era un melomane: senza la compagnia di Bach e Beethoven e Mozart non poteva creare: «Il mio sogno è fare gli abiti con lo stesso ritmo e la stessa armonia di un quartetto di archi di Beethoven». E quando decise di ritirarsi mise la sua arte al servizio dell' Opera, per il Teatro San Carlo di Napoli.
Stagioni e stagioni di racconti in abiti e immagini che erano la visione di donna legata a una femminilità indiscutibilmente sensuale che arrivava a sfiorare la provocazione: «Per creare ho bisogno di essere sedotto, di aver voglia di desiderare la persona che ho davanti a me».
E usava fiori e pois per giocare con leggerezza, forza e personalità abbinando fantasie e proporzioni (le gonne cortissime o lunghe e avvolgenti, le giacche maschili o le scollature profonde) e colori (accesi e sfacciati) fuori dalle regole e dagli schemi. Gli diedero del dissacratore, ma lui - con la sua calma colta - aspettò che quelle visioni diventassero realtà. La licenza di osare con intelligenza lo premiò.
Era nato a Aix en Provence, da genitori pugliesi. Una famiglia numerosa. La domenica si ritrovavano tutti a cantare l' Opera e a mangiare pasta con le polpette. Gli piaceva ricordarlo, anche fra gli specchi e i marmi e gli ori dei palazzi.
A 22 anni si trasferì a Parigi dal grande Balenciaga e per sei anni lavorò e imparò dal maestro. Quando aprì l' atelier il suo fascino, come stilista ma anche come uomo, conquistò le più belle donne: da Anouk Aimèe (che fu un suo grande amore) a Catherine Deneuve, Lee Radziwill, Lauren Bacall, Isabella Adjani, Carolina di Monaco.
Poi arrivò Laura che lo affiancò anche sul lavoro, ispirandolo e diventando la sua ambasciatrice. La sera prima di ogni sfilata la coppia riceveva a casa poche persone: la tavola apparecchiata con le stoffe della collezione e qua e là oggetti, immagini, fotografie, libri che ne raccontavano l' ispirazione.
Altri momenti unici. Ed Emanuel Ungaro, con la sua voce calda e suadente, che condivideva lavoro e pensieri. Per poi ritornare a sognare fra i libri, la pittura e la musica, lasciando la parola agli abiti.
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