Antonello Piroso per “la Verità”
Ha visto, Fulvio Abbate? Paolo Cognetti ha vinto il premio Strega con Le otto montagne, editore Einaudi.
(Abbate, marchese che vuole essere definito «scrittore, meglio: artista che risponde solo a se stesso; un intellettuale, non un cazzaro», polemista fondatore del movimento Situazionismo e libertà, dopo una pausa risponde). «Io ho votato per La più amata di Teresa Ciabatti, editore Mondadori».
paolo cognetti vinctore del premio strega (8)
Deluso?
«Guardi, adesso che la rosa degli Amici della Domenica...».
... Cioè i grandi elettori del premio, di cui lei è il primo in ordine alfabetico...
«Sì. Dicevo: ora che il bacino di voto si è ampliato, il meccanismo sembra essere meno opaco. In realtà puoi anche candidare un volantino di prodotti di un hard discount, e se decidi che quello vince, vince».
Così lei mi scade nell'ovvio dei popoli: è tutto un magna magna, eccetera.
«Quest'anno lo è stato meno, per quanto paradossale possa sembrare dopo l'avvento della Mondazzoli, il Grande fratello Mondadori-Rizzoli. Perché se è vero che ha vinto Einaudi, che fa parte di quel gruppo, Mondadori ha fatto davvero una sua campagna per Ciabatti. Quello che ho trovato insopportabile in Cognetti, che altro non è che la versione hipster di Mauro Corona, ma senza bandana, è l'essersi vantato di essere andato alla premiazione con la cravatta lavallière degli anarchici».
Le è parsa un' esibizione di luogocomunismo?
«Gli anarchici sono schematici e manichei, io sono per un gioioso libertinaggio intellettuale. Massimiliano Parente - che quanto a vivacità intellettuale, carica provocatoria, narcisismo, è l'imperatore di tutti noi - ha scritto al sito Dagospia che lo Strega è un premio di catatonici in cui a trionfare è stato Nicola Lagioia, "la Maria De Filippi dell'editoria giovane e impegnata".
VELTRONI FUNERALI LETIZIA BERLINGUER
Che in passato ha frequentato, lasciando intendere una consuetudine amicale alla Salvador Dalì e Federico Garcia Lorca. Davanti al percorso di Lagioia, che ha vinto lo Strega nel 2015, mi domando: ma perché uno poi accetta di fare il direttore editoriale del Salone del libro? Del resto, se i tuoi libri non vendono, delle due l'una: o dirigi una fiera letteraria o apri una scuola di scrittura. L'unica risposta possibile è che così facendo entri in una rete di rapporti, che poi in Italia sono fondamentali».
L'articolo 1 della Costituzione dovrebbe in effetti essere riscritto: «L'Italia è una repubblica fondata sulle relazioni». Comunque il suo libertinaggio sarà pure gioioso, ma quando nel 2014 il suo romanzo Intanto anche dicembre è passato non ha passato la selezione, lei ha tuonato contro la P2 culturale di sinistra.
«Cioè contro il paludato mondo intorno a Walter Veltroni, il cui imperativo categorico è il lecchinaggio. Non a caso quell' anno ha vinto Francesco Piccolo, lo sceneggiatore di Nanni Moretti perfettamente inserito nel mainstream dominante.
Pensi che a un certo punto qualcuno aveva anche avanzato la proposta di premiare direttamente Veltroni per uno dei suoi romanzi, ignoti perfino ai suoi parenti più prossimi ma comunque sempre splendidamente recensiti, anziché continuare a farlo vincere per interposta persona. Dopo la mia invettiva, l' unica a mostrami solidarietà è stata Elisabetta Sgarbi, che mi ha imbarcato sulla Nave di Teseo, la sua casa editrice, ripubblicando il mio Zero maggio a Palermo del 1990».
Abbate, che cos'è questo cupio dissolvi che la porta a sparare, lei che di destra non è, sugli esponenti della sinistra e della sua intellighenzia? Veltroni, Piccolo, Andrea Camilleri...
«Ah sì, un Leonardo Sciascia Hag. Nel senso che Camilleri, persona assolutamente stimabile e rispettabile, che ha coscienza dei propri limiti ma è bravissimo nella costruzione dei plot, è un succedaneo di Sciascia. Uno Sciascia depotenziato, decaffeinato. Anche il dialetto di Camilleri è da brochure pubblicitaria, da ente provinciale del turismo, in un contesto farsesco da salottino piccolo-borghese. Perfino la mafia con lui diventa un souvenir».
Di Francesco De Gregori lei ha scritto: perché ci tiene a rendersi «così insopportabile, se non talvolta detestabile»?, nientemeno, il tutto perché era andato ospite ad Amici di Maria De Filippi.
«Con De Gregori ho chiarito, ora siamo culo e camicia, abbiamo unito le nostre depressioni, la nostra inattualità. Non molto tempo fa mi ha invitato a cena e mi sono presentato con Patty Pravo. C'erano anche Malcom Pagani, Mia Ceran, e uno strepitoso Giampiero Mughini che ha passato tutto il tempo a irridere Patty, che cercava di convincerlo che Angelo Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII, quando era patriarca di Venezia andava a casa sua a suonare il pianoforte».
Invece di Umberto Eco, per molti un mammasantissima del milieu culturale, lei incredibilmente parla bene. Dipende dal fatto che Eco è stato tra i soci di Elisabetta Sgarbi nella Nave di Teseo di cui sopra?
«Perché incredibilmente? È lei a ragionare in base a pregiudizi, io sono libero. Eco è stato il coltello svizzero multiuso della cultura italiana. Conosceva la patristica, si era laureato con una tesi sull'estetica di San Tommaso, ha importato la semiotica, ha capito prima d'altri l'importanza del fumetto e dei fermenti pop. I suoi libri migliori non sono i romanzi ma piuttosto Diario minimo, dove spiega con grande ironia la mediocrità di Mike Bongiorno».
A proposito di mediocrità: ha letto il saggio Mediocrazia del filosofo canadese Alain Deneault?
«Sì, ma c'era già tutto nel Conformista di Alberto Moravia, scrittore conformisticamente consustanziale al potere. Il mediocre è uno che deve saper "stare al gioco". Pronto al compromesso, competente ma giusto un po', utile al sistema di cui non può, non sa, non vuole mettere in discussione i fondamenti ideologici. Così si rende affidabile per essere cooptato nella cordata giusta, posizionandosi sempre su quella linea mediana dello scacchiere sociale che non genera rischi destabilizzanti.
Un ircocervo tra Fabio Fazio e Massimo Gramellini. Oppure un triste funzionario come Andrea Salerno, per cui Veltroni inventò un ruolo a Rai3, capostruttura alla comicità. Un vero talento: non riuscendo a diventare direttore di Rai3, è arrivato a La7, un ritorno sul luogo del delitto, perché lì aveva già firmato come autore The show must go off, quel bel floppone di un' altra veltroniana, Serena Dandini».
Fiorello non è certo un mediocre, ma pure per lui niente carezze.
«Quanto a talento, lo considero come Eco un coltellino multiuso: sa cantare, imitare, intrattenere. Il miglior showman. È solo refrattario alle critiche, che mal sopporta. Posso dire che l'Edicola su Sky, che ha più recensioni che spettatori, la considero di una modestia assoluta, clone di appuntamenti simili?
SELFIE DI FABIO FAZIO E MASSIMO GRAMELLINI
Il bello è che quando ho sentito due giornalisti parlarne male, ho chiesto perché non lo scrivevano nelle loro rubriche, e quelli mi hanno risposto: "Eh, sai, Fiorello è permaloso, e poi è amico dei nostri direttori". E così, anche con Fiorello siamo al pappa e ciccia, alla palude in cui tutto si tiene, anche perché Sky è un grandissimo investitore pubblicitario da non disturbare. L'hanno pure premiato, Fiorello, ma non con il Telegatto: con un riconoscimento giornalistico, il che la dice lunga sullo stato della professione in Italia. E infatti in giuria c'erano Gianni Riotta e Paolo Mieli».
Mieli non si discute.
paolo mieli foto andrea arriga
«Lo invidio molto. Da Potere Operaio a direttore del Corriere della Sera nelle grazie di Gianni Agnelli, passando sempre per lucido interprete della politica. Io dico: ne avesse imbroccata una, il gran Bonzo de noantri. La verità è che i giornali hanno sostenuto la campagna di rottamazione della politica, ma se c'è una corporazione che intende perpetuare se stessa, garantendosi una sopravvivenza purchessia, è quella dei giornalisti».
Ma a sinistra c' è qualcuno che le gusta?
«Quale sinistra? Nichi Vendola e il suo ripugnante mammismo? Ha scoperto la maternità dei ricchi, è andato all' estero per soddisfare il suo bisogno. Quando è stato ristampato il mio Pier Paolo Pasolini spiegato ai ragazzi, ho tolto la sua prefazione: mi ha indignato quel suo ridere sguaiato in un'intercettazione con il capoufficio stampa dell' Ilva che aveva strappato il microfono a un giornalista reo di aver importunato Emilio Riva con una domanda sui tumori a Taranto.
Quanto a Giuliano Pisapia, quando l'ho visto scortato da Laura Boldrini, che non è bbona manco come zampirone, e Gad Lerner, ho capito tutto. Siamo sempre alla gauche caviar, immemore dei precedenti nefasti: Lerner prima si è affiancato a Romano Prodi, poi a Rosy Bindi. Non hanno fatto entrambi una bella fine politica. Oppure è di sinistra il M5s? Pieno di rigurgiti fascisti e di imbecilli che sono contro i vaccini e vogliono curare il cancro con i fiori di Bach. Come Alessandro Di Battista che confonde il Cile di Augusto Pinochet con il Venezuela».
È lei che si confonde: era Luigi Di Maio, tutto chiacchiere e vestitino.
«Vabbè, è lo stesso. Tanto per loro "uno vale l' altro", no? Era più rivoluzionario lo zio di Christian De Sica».
De Sica?!? Siamo al delirio...
«Ma come, non lo sa? L' assassino di Lev Trotskij era Ramon Mercader, fratello della mamma di Christian, Maria, seconda moglie di Vittorio De Sica».
Abbate, mi ha fatto venire il mal di testa.
«Perché lei è un perbenista del cazzo, pieno di certezze. E invece, come ammoniva Pasolini: "Dovete abituarvi all' atrocità del dubbio, a dibattere i problemi, ma veramente non formalmente. A non applaudire i luoghi comuni, ma a ragionare". E quindi quand' è che noi - Adriano Panatta, lei Piroso, e il sottoscritto - rifacciamo un programma in tv?».
Dopo quest' intervista, credo mai.