Marina Valensise per “Il Messaggero”
lo scrittore julien dufresne lamy
Dopo i neri, le donne, gli omossessuali è il momento dei calvi. E col racconto di Julien Dufresne-Lamy, scrittore trentaquattrenne, colpito da precoce alopecia androgenica, salgono sulla rampa di lancio del grande lamento universale a scopo terapeutico che accomuna i frustrati, gli sbeffeggiati e l'infinita schiera dei vilipesi e offesi.
Vittime del progressivo diradamento del cuoio capelluto, anche i calvi ormai possono rivendicare a testa alta le umiliazioni, i complessi di inferiorità, le frustrazioni inflitte dal mondo degli zazzeruti.
i capelli di julien dufresne lamy
Anche loro, hanno diritto al rispetto in nome della diversità, tricologicamente parlando. Non solo perché questa è la direzione di marcia del nostro mondo d'oggi, fondato sull'eguaglianza, la libertà e il rispetto dei diritti umani.
Ma perché gli artifici della tecnica e della medicina estetica hanno fatto tali passi da gigante che, dopo le sessantenni botoxate, con labbra a canotto, glutei scolpiti e seni da ninfetta, ormai anche i calvi, i pelati integrali, i sor Maiolica come li chiamano a Roma, hanno la possibilità di contrastare il corso naturale della fisiologia.
la pettinatura di julien dufresne lamy
ECCESSI
E forse sbaglia chi si ostina a ritenere che il calvo, lungi dall'essere un diverso, rappresenti un vantaggio nell'evoluzione della specie e addirittura l'acme della civilizzazione, rispetto ai primitivi con clava.
È vero che l'alopecia androgenetica è causata da un eccesso di testosterone, il che forse non è senza rapporto con la buona reputazione della calvizie, simbolo di virilità e di autocontrollo, apprezzata addirittura in quanto afrodisiaco, donde la fortuna presso il genere femminili di molti calvi fieri di esserlo come Bruce Willis a Sean Connery, da Zidane a Jas Gawronski.
Ma oggi giorno, e questo libro ne è la prova, inizia a serpeggiare l'idea opposta, e cioè che la calvizie possa essere anche l'espressione di un disagio dell'io, di un'inadeguatezza psicologica e morale, e addirittura di un'indifferenziazione di genere che rende problematica la stessa preferenza sessuale.
Julien Dufresne - Lamy non ha dovuto scervellarsi molto per dimostrare questa tesi. Gli è bastato guardarsi dentro, ripensare alla sua infanzia di bambino delicato e ipersensibile, e raccontarne gli incubi da figlio di una madre alcolizzata e depressa, e da vittima di un padre maniacale, che lo costringeva a praticare ogni sport, cavallo, tennis, nuoto, vela, per poi arrendersi iscrivendolo a un corso di ceramica.
VIRGULTO
Divorziati i genitori, il virgulto della famiglia disfunzionale abbandona l'idea di diventare magistrato o notaio, accetta la sua omosessualità e si mette scrivere. Ma è allora che inizia a perdere i capelli, e a cercare nella caduta il segno della propria inadeguatezza con tutti gli stratagemmi necessari a occultarla: lunghe sedute di posa allo specchio per creare con certe ciocche laterali un riporto strategico sul diradamento, uso della lacca per fissarlo al meglio, cura scrupolosa nell'astenersi da macchine decapottabili per evitare il vento e le gite al mare.
Ma sarà solo la cognizione del dolore a spingerlo all'estrema ratio del trapianto. L'operazione, descritta minuziosamente in tutte le sue fasi, avviene in Turchia, a Istanbul, capitale contemporanea del turismo estetico, presso la clinica Elithairtransplant del dottor Abdulaziz Balwi, grande specialista della FUE, una tecnica di estrazione dei follicoli piliferi che vengono poi trapiantati uno per uno, con una penna speciale, nella zona della calvizie.
È così che l'autofiction trova la sua epica e il senso di impotenza il suo riscatto, anche se alla fine, grazie alla gioia della ricrescita, Julien Dufresne-Lamy sente il bisogno di confessare di non aver fatto il trapianto per obbedire all'ideologia viriloide, ma solo per realizzare la sua personale rinascita, e raccontarla in prima persona per smantellare i costrutti identitari che ancora ci condizionano.