ANCHE IL “NEW YORK TIMES” PESTA IL MERDONE - DOPO MESI DI INDAGINI, “L’AUTOREVOLE” QUOTIDIANO AMMETTE DI AVER BASATO IL PODCAST SUPERPREMIATO “CALIPHATE” SULLA TESTIMONIANZA DI UN FALSO MILITANTE DELL'ISIS - DOPO AVER RESTITUITO IL PREMIO “PEABODY”, LA REPORTER RUKMINI CALLIMACHI È STATA SOSPESA (NON SI OCCUPERÀ PIÙ DI TERRORISMO)

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Raffaella Menichini per www.repubblica.it

 

RUKMINI CALLIMACHI RUKMINI CALLIMACHI

Il New York Times ha ritrattato il pluripremiato reportage in podcast "Caliphate" sui terroristi dell'Isis, dopo aver riconosciuto una serie di falle clamorose nelle procedure di raccolta e verifica delle sue fonti. Il cuore della famosa serie, firmata dalla reporter esperta di terrorismo Rukmini Callimachi, era infatti la testimonianza di un presunto militante Isis canadese-pachistano che si è rivelato un impostore, a seguito di un'inchiesta del governo canadese.

 

Dopo mesi di inchieste interne affidate a una squadra di giornalisti investigativi della testata, la direzione del New York Times è arrivata alla scelta clamorosa non solo di ritrattare il reportage, ma di restituire il prestigioso premio Peabody che Callimachi e il suo team avevano vinto per quello che al suo lancio, nella primavera del 2018, era stato pubblicizzato come un prodotto di altissima qualità, al punto che arrivò anche nella selezione finale dei Pulitzer.

 

RUKMINI CALLIMACHI CON IL PREMIO PEABODY RUKMINI CALLIMACHI CON IL PREMIO PEABODY

Per due anni Caliphate è stato il fiore all'occhiello del New York Times, non solo per il contenuto giornalistico - le rivelazioni sulla fino ad allora poco conosciuta vita interna dell'organizzazione terroristica islamica - ma anche e soprattutto per l'innovativo formato che lo rendeva un vero punto di svolta nel già brillante posizionamento della testata americana come faro dell'innovazione giornalistica mondiale: un podcast in 10 puntate, con testimonianze audio accompagnate a una gran mole di materiale documentale che Callimachi aveva raccolto di persona nei palazzi abbandonati dai terroristi dopo la presa di Mosul in Iraq.

 

Il direttore del New York Times, Dean Baquet, ha spiegato ieri in una puntata "aggiuntiva" del podcast Caliphate che il reportage non "rispetta gli standard" di qualità del New York Times e che - nonostante il falso militante Isis Shehroze Chaudhry si sia rivelato un "truffatore provetto" e non abbia tratto in inganno solo il Nyt ma anche le autorità canadesi e altri media - la responsabilità del grave errore ricade sull'intera direzione della testata per non aver seguito fino in fondo le procedure di verifica multipla che tutte le storie del Nyt richiedono.

RUKMINI CALLIMACHI RUKMINI CALLIMACHI

 

In realtà il podcast non è stato materialmente cancellato dal sito del Nyt: ogni puntata reca adesso un'avvertenza audio di quel che è successo, poi c'è l'appendice dell'intervista di Baquet a Michael Barbaro (che con il suo "The Daily" è considerato il precursore mondiale del podcast giornalistico) e un paio di articoli esplicativi dell'indagine interna. Baquet sostiene che questo equivale ad aver "ritrattato il cuore di Caliphate", ma resta il fatto che chi volesse ascoltarlo lo può ancora fare, e ora si può presumere che se non altro per curiosità molti altri ascoltatori si aggiungeranno alle decine di migliaia che hanno cliccato e si sono abbonati al Nyt proprio per "Caliphate".

 

IL PODCAST CALIPHATE IL PODCAST CALIPHATE

Altri dubbi riguardano la sorte dei responsabili del pasticcio Caliphate. La giornalista Callimachi rimane al Nyt ma è stata allontanata dalla copertura del terrorismo che era la sua specialità e che l'aveva resa famosa (e in realtà da mesi non firma un articolo sul giornale).

 

In un tweet ieri, la stessa Callimachi ha ammesso le proprie responsabilità, pur dicendosi ancora "orgogliosa" del grande lavoro che comunque tutto "Caliphate" ha richiesto: oltre alla testimonianza di Chaudhry erano stati intervistati altri militanti Isis che però non avevano dato i dettagli raccapriccianti forniti dal finto terrorista, e una giovane irachena yazida appena liberata da un campo di prigionia.

 

"Come giornalisti, chiediamo trasparenza alle nostre fonti e dobbiamo essere noi i primi a garantirla - ha detto Callimachi - Ho scoperto che il soggetto del nostro podcast stava mentendo su alcuni punti chiave e l'ho riportato. Ma non ho colto altre bugie che ci stava dicendo, e avrei dovuto. Ho aggiunto delle avvertenze per spiegare cosa sapevamo e cosa no. Non è bastato".

 

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