HACKER LIBERTARIO O PUTINIANO LA PARABOLA INFINITA DI JULIAN
Estratto dell’articolo di Francesco Semprini per "la Stampa"
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Da icona della libertà di informazione a cecchino digitale di Vladimir Putin, ed infine vittima compassionevole tanto da meritare una via d'uscita dal calvario giudiziario e una sorta di grazia dalla temuta Giustizia americana.
È la parabola di Julian Assange, che torna in Australia da uomo libero dopo aver combattuto per oltre un decennio contro l'estradizione negli Stati Uniti con l'accusa di spionaggio. Una parabola fatta di massimi, minimi e flessi, di fughe e di prigionia, di esilio in sedi diplomatiche e di battaglie legali perse e vinte.
Il nome di Assange è legato a doppio filo a quello di Wikileaks […] il sito delle fughe di notizie, dei segreti di Stato, delle operazioni ombra e degli intrecci di palazzo. Registrato nel 2006, inizia la sua attività l'anno dopo facendo emergere scandali e malefatte che mettono in difficoltà i governi di mezzo mondo.
Ma sono gli Usa a diventare il vero "wiki-target", il bersaglio privilegiato. Dapprima con la pubblicazione del manuale per le guardie carcerarie di Guantanamo e poi con la mattanza compiuta da un elicottero Apache in volo su Baghdad nei confronti di presunti terroristi, in realtà civili inermi. Il video viene titolato Delitto collaterale (Collateral murder) una sorta di punto di non ritorno per l'informazione […].
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Da lì in avanti Wikileaks è un fiume in piena di documenti che provano crimini e misfatti commessi dagli americani in Iraq e in Afghanistan. […] Il 28 novembre 2010 si inaugura il "Cablo-Gate" che consacra il programmatore australiano quale icona della libertà d'espressione e peggior nemico delle "deep state". Alleati come Berlusconi, Sarkozy e Merkel scoprono di essere spiati da Washington, altri leader si trovarono di fronte a dossier impietosi nei loro confronti.
La fuga di notizie è resa possibile grazie a un militare statunitense, Bradley Manning (Chelsea Manning, dopo l'operazione per cambiare sesso), che gira ad Assange 700 mila documenti classificati. […] Iniziano però i guai legali per Assange, non per le sue spregiudicate pubblicazioni, ma per un'accusa di molestie sessuali proveniente dalla magistratura svedese.
Lui si rifugia a Londra per evitare l'estradizione, nel 2012 chiede e ottiene asilo politico all'ambasciata dell'Ecuador, una gabbia dorata in cui rimane sino al 2019, quando viene arrestato dalle autorità inglesi sotto il premierato di Boris Johnson e - sembra - dietro le pressioni del presidente Usa Donald Trump […]
Le accuse di essere un uomo al servizio di Mosca montano l'anno prima quando, dal suo esilio, dirige l'inchiesta contro Hillary Clinton, nel pieno della campagna elettorale Usa 2016. Pubblica documenti che dimostrano come i vertici del partito democratico la favorissero segretamente contro il rivale alle primarie Bernie Sanders.
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A trarne vantaggio è proprio Trump che vince le elezioni, ma a quel punto Assange da icona della libertà di informazione diventa il "cecchino digitale" di Putin. Gli stessi media (per lo più liberal) che lo avevano portato su un palmo di mano, gli voltano le spalle etichettandolo come dispensatore di "fake news".
Dal 2019 Assange è detenuto nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, la cosiddetta "Guantanamo di Londra", in attesa di capire se dovrà essere estradato negli Usa dove lo attendono 18 capi di accusa per spionaggio e pirateria informatica per un massimo di 175 anni di carcere.
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Nel frattempo, la magistratura svedese abbandona ''indagine per violenza sessuale per mancanza di prove, e nel 2021 le autorità del Regno Unito negano l'estradizione per il rischio che commetta il suicidio. […]
Dopo diversi arrembaggi giudiziari […], il 19 giugno 2024 viene sottoscritto l'accordo di patteggiamento con la Giustizia Usa. Sebbene la Casa Bianca affermi che si tratta di una decisione indipendente, il sospetto è che dietro ci sia Joe Biden. […] Una manovra a doppia valenza, internazionale e interna, che potrebbe avere risvolti non indifferenti in vista del voto di novembre.
JULIAN ASSANGE NON È NAVALNY
Estratto da “Appunti”, la newsletter di Stefano Feltri – 22 febbraio 2024
[…] L’argomento a sostegno dell’equivaenza tra Navalny e Assange è più o meno questo: certo, la Russia di Putin ha i suoi limiti, come dimostra la morte di Navalny in carcere, ma anche noi in Occidente abbiamo i nostri Navalny, cioè Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, che dal 2010 è inseguito dalla giustizia americana. Entrambi hanno denunciato le menzogne e la corruzione del potere, ed entrambi hanno pagato sulla propria pelle.
Secondo questa linea argomentativa, Putin è un po’ meglio degli Stati Uniti perché almeno non finge di essere una cosa diversa da quella che è, cioè il capo di un regime oppressivo e liberticida. Corollario inevitabile: dobbiamo smettere di mandare armi all’Ucraina perché sono armi americane che permettono agli ucraini di resistere in nome di una superiorità dei valori occidentali nei quali siamo i primi a non credere, come dimostra la vicenda Assange.
Con intellettuali, giornalisti, opinionisti che propalano queste tesi, Putin non ha certo bisogno di infiltrare i nostri media o la politica - cosa pure che prova sempre a fare - visto che nessun propagandista a libro paga saprebbe fare di meglio.
Ma veniamo al merito: Navalny e Assange sono la stessa cosa? […] Navalny era un politico, che poi è diventato una specie di leader di opposizione - politica e civile - in un paese senza una opposizione legittima.
Navalny è stato prima un politico e, solo come parte della sua attività politica, è diventato un blogger e qualcosa di simile a un giornalista d'inchiesta che ha denunciato la corruzione del regime putiniano e l’avidità di Putin in persona. Ma sempre a scopo di battaglia politica, non di fare informazione.
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[…] Poi, certo, Navalny non era un politico da Ztl di Milano, era pur sempre un russo, che condivideva alcuni aspetti della nostalgia imperiale di Putin, un nazionalista, ecc. ecc… Ma era prima di tutto un politico russo che si è opposto al potere autocratico del presidente nell’unico modo possibile - cioè non convenzionale, da attivista - in un paese non democratico. L’unica cosa che ha in comune con Assange, insomma, è di essere stato abile a usare la comunicazione.
[…] Assange non è un politico, Wikileaks non è un partito, e neppure un giornale: è un progetto che abusa del prefisso Wiki, ma non è partecipato, aperto, e non è neppure una buca delle lettere che offre divulgazione e protezione a chi ha segreti da divulgare. E’ qualcos’altro, è un’illusione di trasparenza, che è presto diventato uno strumento di potere. Guarda caso, del potere di Putin. E così si chiude il cerchio: gli amici di Putin difendono un sedicente attivista che ha colpito gli Stati Uniti e ha fatto gli interessi di Putin. Tutto si tiene.
Gran parte della discussione su Assange prescinde da quello che ha fatto. Io stesso, devo dire, pensavo che - come i giornalisti dei consorzi investigativi sui Panama Papers - avesse ricevuto grandi quantità di documenti segreti e li avessi divulgati in nome di un ideale di trasparenza. Non è andata proprio così.
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Se si legge il capo di imputazione del dipartimento di Giustizia, si vede che gli Stati Uniti non contestano ad Assange soltanto di aver divulgato materiale classificato, cioè delicato per la sicurezza nazionale, ma di aver partecipato insieme a un’analista dell’intelligence, Chelsea Manning (all’epoca si chiamava Bradley Manning, prima di una transizione di genere), a aver violare i sistemi di sicurezza americani per rubare informazioni riservate.
Capite che c’è una bella differenza.
JULIAN ASSANGE CON ALESSANDRO DI BATTISTA
Tra gennaio e maggio 2010, Assange assiste Manning nel commettere quelli che in qualunque paese sarebbero classificati come reati gravissimi: aggirare i sistemi di sicurezza dell’esercito americano, usare l’identità di superiori per recuperare password a cui Manning non aveva accesso, per poi scaricare e passare a Wikileaks blocchi di informazioni riservate sulle attività dell’esercito in Afghanistan, Iraq, sulla gestione dei detenuti a Guantanamo e altri segreti militari.
Quando Manning dice di aver scaricato tutto quello che ha, Assange chiede di insistere: “Gli occhi curiosi non restano mai delusi”, si legge nel capo d’accusa.
Che Manning e Assange abbiano fatto quello che viene loro contestato non c’è dubbio. E credo che qualunque stato del mondo classificherebbe l’attività di Assange come spionaggio, anche seil fondatore di Wikileaks non agiva - quella volta, nel 2010 - in collusione con governi stranieri. In Italia, per esempio, è un reato gravissimo rivelare i nomi di agenti dei servizi segreti sotto copertura. […]
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