Estratto dell’articolo di Paolo Lepri per il “Corriere della Sera”
il dittatore nordcoreano kim jong un in un campo coltivato
[…] il regime nord-coreano — questa feroce monarchia assoluta che si autodefinisce comunista — ci sta provando, spingendo la sua vocazione repressiva fino alle conseguenze più estreme. È questo il senso del «Programma culturale di protezione del linguaggio» che la cricca del leader Kim Jong-un ha approvato in maggio e intende ora applicare.
[…] Rischierà anche la pena di morte chi userà i termini del nemico – in Corea del Nord le donne si rivolgono al marito chiamandolo «compagno» – e chi verrà a sorpreso a parlare con espressioni usate nello «Stato-fantoccio», cioè la Corea del Sud. Sarà vietato anche l’accento «straniero».
Il vocabolario proibito, secondo quanto ha riferito il South China Morning Post , contiene espressioni comuni nella vita quotidiana, che in questo caso sono ritenute invece la prova di una frequentazione con la cultura capitalista e della visione di programmi televisivi o film prodotti al di là delle frontiere dello Stato-prigione. È scontato aggiungere che essere scoperti a dire «ti amo» sarà perseguito. Il male teme sempre i sentimenti. Ma non ha paura del «suo» linguaggio. Come quando Kim scrive a Putin, in occasione della festa nazionale, assicurando pieno appoggio e solidarietà al popolo russo nella «sacra causa» di «preservare i propri diritti contro gli imperialisti».