Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"
ANGELA PORCELLO INCONTRA IL BOSS FALSONE 1
«Ho bisogno di una finestra su quello che succede all' esterno», diceva il boss isolato al «carcere duro» all' avvocata che s' era messa a disposizione per fare da tramite con gli altri «uomini d' onore», trasformando - secondo l' accusa - il suo studio legale in un «pericoloso covo di mafiosi» per ospitare summit «al riparo da possibili attività di indagine».
Così il capo di Cosa nostra nella provincia di Agrigento continuava a comandare, mentre nella stessa zona era tornato a organizzare la propria cosca uno dei mandanti dell' omicidio di Rosario Livatino, il «giudice ragazzino» che la Chiesa si prepara a proclamare beato; nonostante l' ergastolo era stato ammesso a semilibertà e permessi premio, utilizzati per riprendere il comando degli affari mafiosi.
I 23 arresti ordinati ieri dalla Procura di Palermo (uno anche per il superlatitante Matteo Messina Denaro) svelano le crepe del «41 bis», introdotto dopo le stragi del 1992 proprio per impedire i contatti tra i detenuti più pericolosi e l' esterno.
Ma stavolta - secondo l' accusa del procuratore Franco Lo Voi, dell' aggiunto Paolo Guido e dei sostituti Claudio Camilleri, Gianluca De Leo e Geri Ferrara - un avvocato complice e altre inefficienze hanno consentito all' ergastolano Giuseppe Falsone di riprendere in mano lo scettro del comando.
Le intercettazioni e i pedinamenti dei carabinieri del Ros hanno consentito di ascoltare e riprendere due anni di indicazioni partite dal carcere e trasmesse grazie all' avvocata cinquantenne Angela Porcello; che faceva la spola tra il penitenziario di Novara, dov' era rinchiuso Falsone, e Canicattì dove l' attendeva il suo fidanzato nonché «componente del gruppo di fuoco» del boss, Giancarlo Buggea. Il quale diceva della donna: «Angela è stato un bisogno... un' occasione... e non me la sono fatta scappare!».
Il bisogno e l' occasione di riunirsi al riparo dalle cimici degli «sbirri», cosa di cui Buggea era convinto quando rassicurava gli altri fermati ieri con l' accusa di mafia (avvocata compresa): «Qua non piglia niente... Qua è studio legale».
Invece le microspie funzionavano eccome; registrando le parole sue e della Porcello che - tra l' altro - si rammaricava per gli arresti basati sulle dichiarazioni di un pentito risparmiato dai mafiosi: «A questo non lo potevate togliere di mezzo, vero?».
Nei colloqui con Falsone nel carcere di Novara, per evitare di essere ascoltata su certi argomenti, l' avvocata scriveva su un foglio e il boss rispondeva a voce bassissima o a gesti, ritraendosi dietro una colonna in modo da non essere visibile alla sorveglianza. «Appare quantomeno inopportuna - accusano i pm -, da parte della Direzione carceraria, la destinazione di camere di tal fatta a colloqui, posto che la dislocazione degli spazi agevola non poco condotte finalizzate all' aggiramento dell' osservazione da parte della polizia penitenziaria».
In un altro dialogo, il boss si lancia in una sorta di apologo «da antologia mafiosa» sui carciofi che se tagliati via con la zappa fanno crescere solo cardi; come avrebbe fatto lo Stato con Cosa nostra: «La Sicilia è una terra desolata, di miseria... si formeranno tutte situazioni di piccolo banditismo che sarà micidiale... Ci vuole un minimo di organizzazione sociale, no? Chi la deve fare?... Lo Stato dov' è?... A noi ci hanno macellato, perché poi vero è che ci sono state le cose brutte, ma ci sono state le cose a favore della società...
ANGELA PORCELLO INCONTRA IL BOSS FALSONE
È un insieme di cose, no? Non è che si può prendere solo il bello... Anche il brutto! È così, la vita è complessa...».
Per tenere i contatti con gli altri capimafia chiusi al «41 bis», il boss agrigentino aveva fatto nominare la Porcello ai «colleghi» di Gela Alessandro Emanuello e di Trapani Pietro Virga: «Mi sono preso la libertà», dice, e l' avvocata risponde: «Lei si può prendere tutte le libertà che vuole».
Gli accordi e le mediazioni da realizzare sul territorio in cui comandano Falsone e il suo luogotenente Buggea, riguardano soprattutto gli affari del mercato ortofrutticolo, in particolare quello legato all' uva Italia tipica della zona di Canicattì. E gli uomini di Cosa nostra devono vedersela con quelli della stidda , la mafia indipendente con la quale un tempo ci fu la guerra e poi «un accordo di pace tuttora vigente», come si deduce dalle intercettazioni.
È Buggea a raccontare che a Canicattì è tornato Antonio Gallea, condannato all' ergastolo per il delitto Livatino e altri omicidi, che dopo un quarto di secolo di detenzione ha ottenuto la semilibertà dal Tribunale di sorveglianza di Napoli e poi qualche permesso premio per tornare a casa. E come lui l' altro ergastolano Santo Rinallo.
Pronti a reinserirsi, a quanto pare, non tanto nel contesto sociale sano, bensì nelle trame mafiose: «Sono usciti dopo trenta anni, dice: "Noi dobbiamo campare o dobbiamo fare cose torte?"».
ANGELA PORCELLO INCONTRA IL BOSS FALSONE 2
Con gli stiddari , i mafiosi di Cosa nostra discutono vicende di cui dev' essere messo a parte anche l' ultimo boss stragista rimasto in libertà: «Noialtri con Matteo glielo dovremmo dire... Messina Denaro tu lo sai»; «Io lo so chi lo porta!».
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