Giordano Tedoldi per “Libero Quotidiano”
Bigotti fino al ridicolo. Governo e Regioni escludono i sexy shop dai contributi stanziati per la ripartenza dopo il lockdown. In un Paese così ipocrita da avere legiferato una "porno tax" (una tassa sui proventi dei ricavi o dei compensi derivanti dalla produzione, distribuzione, vendita e rappresentazione di materiale pornografico, che ha colpito in modo del tutto anticostituzionale una sola categoria commerciale) non ci potevamo aspettare niente di diverso.
La nostra classe politica ostenta ancora un imbecille puritanesimo per cui il sesso è sporco, va nascosto e sottaciuto, salvo poi spremere il settore come un limone quando si scopre che il giro d' affari di film, indumenti striminziti, attrezzature fetish e altri ammennicoli erotici è fiorente.
A denunciare la discriminazione sul Gazzettino è Marina Corradini, che con il compagno e il figlio gestisce alcuni sexy shop nel Friuli: «Noi siamo discriminati da chi governa che, una dopo l' altra, sta facendo ripartire tutte le attività: solo i "sexy shop" restano chiusi.
Solo noi esclusi dagli aiuti di Stato e Regione. Per questo siamo pronti alla disobbedienza fiscale. Ci stanno lasciando nel limbo in attesa di poterci spremere con un' altra tassa anticostituzionale come è accaduto in passato».
Forse i nostri politici immaginano che chi gestisce un sexy shop, a differenza di un salumiere o di un fornaio, può permettersi di vivere senza lavorare, senza vendere la sua merce, senza incassare.
Già, il negoziante di sexy shop, agli occhi di questi integerrimi e immaginiamo castissimi rappresentanti del popolo (i quali mai e poi mai, ne siamo convinti, hanno frequentato una prostituta, o visto un film hard, o praticato la masturbazione) non è un cittadino lavoratore che ha gli stessi diritti di tutti gli altri, ma un sudicione da colpire, lui e tutti i suoi clienti.
LA COSTITUZIONE
«L' articolo 1 della Costituzione dice che Italia è una Repubblica fondata sul lavoro» attacca la Corradini, «a noi lo vietano! Ci stanno ostacolando, inventandosi divieti paradossali! Visto che non ci riconoscono il diritto di accedere agli aiuti che danno alle altre attività commerciali, non devono nemmeno chiederci di pagare le tasse e di rispettare gli adempimenti fiscali.
Siamo arrivati all' 80% del nostro reddito destinato allo Stato per non ricevere nulla in cambio se non vessazioni e discriminazioni».
E ancora: «Noi svolgiamo un' opera di aiuto alla società. Mettiamo a disposizione, a 360 gradi, un sostegno psicologico e materiale nei confronti di chi ne ha bisogno. Persone che trovano da noi quello che psicologi, farmacisti, medici ecc. non sono in grado di fornire. Il funzionamento della famiglia e l' equilibrio delle persone hanno come base fondamentale l' attività sessuale! Basta nascondere la testa sotto la sabbia! Basta bigotti che prendono decisioni per noi».
Debellare la bigotteria in Italia? Vasto programma. In parlamento o in campo culturale (università, arti, letteratura, ecc.) se una donna è appena un po' avvenente, viene tacciata di meretricio, e spesso le prime a diffamarla sono le altre donne, alla faccia del femminismo e di quella lucrativa caccia alle streghe che è stata il #MeToo.
Quanto ai nostri politici, non occorre rievocare quei campioni di moralità pubblica che avevano una doppia vita stupefacente e il vizietto del trans, o i cattolici accigliati che, tra un comizio e l' altro sulla famiglia e la fedeltà coniugale, trovavano il tempo di sollazzarsi con l' amante, approdando poi all' ennesimo divorzio. Ma lasciamo da parte le questioni etiche, perché lì non c' è speranza.
Passiamo al dato economico: il mercato dei sex toys è in cospicua crescita sulle piattaforme online, però i negozi fisici, i sexy shop veri e propri, hanno registrato negli ultimi quattro anni una flessione di oltre il 5%. Dei 315 sexy shop la metà si trova nel nord Italia, e i gadget sessuali sono venduti soprattutto nelle grandi città: Milano, Roma, Torino.
STILE SABAUDO
Eppure, ad esempio, proprio in Piemonte la Lega ha fatto escludere i sexy shop dal bonus dei 1500 euro previsti dalla legge "Riparti Piemonte". Il Piemonte può ripartire, sì, ma senza eccitarsi troppo, in puro stile sabaudo. Ciò vuol dire che 33 esercizi commerciali - tanti sono i sexy shop in Piemonte - non avranno alcun aiuto regionale, e quindi probabilmente dovranno fallire, mandare a casa i dipendenti, e gli stessi proprietari si troveranno disoccupati.
Il bello è che all' inizio i sexy shop erano compresi nell' erogazione del bonus, poi è arrivato il moralista di turno che si è accorto della loro spregevole inclusione e, dopo aver montato su uno scandalo, ha chiesto alla maggioranza di escluderli. Naturalmente è stato esaudito: i consiglieri avranno avuto paura di essere accusati di detenzione di falli di gomma o vibratori a cinque velocità.
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