1 – E KENNEDY «L’ITALIANO» MANDÒ A DIRE A JACKIE: «PIÙ FIGLI, MENO AGNELLI»
Estratto del nuovo libro di Bruno Vespa “Kennedy. Fu vera gloria? Amori e potere di un mito”, in libreria dal 2 maggio per Rai Libri – pubblicato dal “Corriere della Sera”
Kennedy. Fu vera gloria? Amori e potere di un mito di Bruno Vespa
Kennedy è stato sempre attento alla politica italiana. Nel 1960, dopo la drammatica parentesi del governo Tambroni, in Italia si cominciava a parlare di una possibile apertura a sinistra. Il leader socialista Pietro Nenni, critico verso l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956, aveva rotto con i comunisti nel ’60. L’amministrazione Eisenhower era stata sempre contraria a qualunque apertura, ma nel ’61 — con Kennedy alla Casa Bianca — le cose presero una piega diversa [...].
Kennedy conobbe Fanfani nel ’56, alla convention democratica di Chicago. Gli disse di aver apprezzato il suo Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo. Quando lo incontrò di nuovo nel ’61 come presidente del Consiglio a Washington, Kennedy gli disse informalmente che se avesse portato avanti l’apertura a sinistra, gli Usa ne avrebbero guardato gli sviluppi «con simpatia».
Il dipartimento di Stato fu informato dell’opinione presidenziale, ma si guardò bene dal farla propria. L’ambasciata americana era tradizionalmente vicina all’aristocrazia romana, orientata a destra, e demonizzava ogni contatto con i socialisti. Quando la svolta si avvicinò, dissero che per gli Stati Uniti sarebbe stato meglio restarne lontani. Nenni avrebbe dovuto fornire molte prove di «purezza democratica» per meritare l’attenzione americana [...].
Jackie Kennedy, Suni e Gianni Agnelli, Benno Graziani, Stas Razdwill
A Roma, Kennedy arrivò il 1° luglio 1963. Ad attenderlo a Fiumicino, tra gli altri, c’era Carlo Riccardi, il fotografo che ispirò la Dolce Vita, con Ennio Flaiano, che coniò il termine paparazzo, mutuandolo da pappatacio, «moscone» come Fanfani chiamava Riccardi. E l’ossessione dello staff Kennedy per quelli che diventeranno i paparazzi emerge in una nota della Casa Bianca sulla stampa dell’agosto 1962, quando la first lady Jacqueline scelse Ravello per le vacanze di agosto. Quella visita fece epoca. Jackie aveva 33 anni ed era bellissima.
gianni agnelli in barca con kennedy
Arrivò con i figli John John e Caroline, con la sorella Lee Radziwill, il cognato, una segretaria e una bambinaia. Per tre settimane soggiornò a Palazzo Episcopio. Ogni mattina, su una 600 decappottabile messa a disposizione dalla Fiat, Jacqueline scendeva ad Amalfi per fare sci d’acqua. Suo accompagnatore fu Gianni Agnelli, che trascorse alcune notti nella stessa residenza di Jackie.
Gianni Agnelli jacqueline Kennedy
Nacquero così le voci su un flirt tra i due, rilanciate dalla stampa americana. John, che aveva i suoi problemi tra Cuba e le rivolte dei neri, le spedì un messaggio: «More Caroline, less Gianni» («occupati più di Caroline che di Agnelli»). I due erano inseparabili. Sul mitico Veliero Blu, al largo di Amalfi, nei bagni a Conca dei Marini, i cocktail al bar Santo Domingo, i balli notturni a piedi nudi (qui senza foto) da Chez Checco. Pettegolezzi? Forse non solo, perché nel 2005 Gore Vidal, lo scrittore imparentato con i Kennedy, rivelò che tra i due c’era stata una storia [...].
gianni agnelli e jackie kennedy
Il primo luglio 1962, a Roma, per Kennedy ci fu un bagno di folla. In Campidoglio disse: «Come presidente degli Stati Uniti rappresento due o tre volte il numero di italiani che rappresenta il sindaco di Roma. Sono convinto che l’Oceano Atlantico debba essere il mare nostrum».
Dopo gli incontri con il governo, il cerimoniale prevedeva una cena al Quirinale. Ristretto di pollo in tazza, filetti di sogliola alla veneziana, sella di vitello allo cherry, asparagi alla riviera, spumone Conte Rosso, innaffiati da Riesling, Bardolino Bolla, Ruinart Reserve Brut 1949. Rispondendo al saluto del presidente Segni, Kennedy disse che «Stati Uniti e Italia sono alleati più di quanto non sia mai avvenuto in passato, sono soci nella difesa della libertà. Considereremo una minaccia alla vostra pace e alla vostra libertà come una minaccia a noi stessi e risponderemo in modo adeguato».
2 – LE CORNA, I SOLDI, LE LITI LA VERITÀ SU JACK E JACKIE
Estratto del nuovo libro di Bruno Vespa “Kennedy. Fu vera gloria? Amori e potere di un mito”, in libreria dal 2 maggio per Rai Libri – pubblicato da “Libero Quotidiano”
John Fitzgerald Kennedy con la moglie Jacqueline e la figlia Caroline nella villa in costa azzurra
Ogni volta che Jack rientrava, Jackie lo accoglieva guardandolo dritto negli occhi, lui sapeva che lei sapeva. Jackie taceva, per amore, per educazione, per stile, e perché così si fa. Jack era innamorato? Non si saprà mai: «Non ho mai amato davvero nessuna donna, ma sono stato abbastanza interessato a un paio, tra cui mia moglie», pare abbia detto una volta con cinica nonchalance.
Sessualmente era bulimico come tutti i maschi di casa Kennedy, anche a causa della mistura di steroidi, anfetamine e novocaina che era costretto ad assumere regolarmente per placare i dolori violenti alla schiena. Le meravigliose iniezioni a cui lo aveva iniziato il dottor Jacobson, detto “Feelgood”, il pusher legale della Casa Bianca al quale tutti si rivolsero prima o poi, Jacqueline compresa.
john fitzgerald kennedy fotografato da tony vaccaro
Jackie sapeva benissimo che suo marito andava spesso all’Hotel Mayflower di Washington, entrando dal garage tramite un passaggio segreto, per recarsi nella suite situata all’ottavo piano dove, ogni volta, una fanciulla diversa lo aspettava in camera. Jack non si perdeva in preliminari, il registro era slam bang, thank you madame.
Jackie spendeva un patrimonio in vestiti. Durante i voli, Jack studiava i discorsi con Sorensen, O’Donnell, Salinger e Powers, tra una zuppa di pesce e un altro piatto. Jackie, in silenzio, se ne stava a cucire o a leggere Kerouac. Lo dovettero ammettere tutti, Jackie era una risorsa importante. «Voglio vivere, non essere una testimone della mia vita» e in effetti Jackie fu protagonista assoluta di un’epoca irripetibile. Gli applausi in sua presenza raddoppiavano. «La vedevano come una principessa e adoravano il suo stile affascinante» ammise Pierre Salinger, responsabile dei rapporti con la stampa per Jack.
Jackie, però, non poté stargli vicino durante le elezioni generali.
robert kennedy marilyn monroe john kennedy
Aspettava un altro bambino e Jack, questa volta, da padre innamorato perso di sua figlia e più consapevole dei rischi, non le chiese di affiancarlo durante la convention a Los Angeles. Jack si aggiudicò la nomination al primo colpo contro Johnson, e il giorno seguente i cronisti corsero a Hyannis Port per sentire Jackie che era lì con Caroline. «Immagino che non sarò di grande aiuto nella campagna, ma farò comunque il possibile» disse lei.
E, comunque, aveva sguinzagliato le sue spie, iniziando dalla sorella Lee che, nel frattempo, aveva sposato il principe polacco Radziwill. Lee l’aveva tenuta informata degli incontri con Marilyn, e non solo con lei, che avvenivano nella casa di Los Angeles dell’attore Jack Haley. A Jackie interessava che tutto questo non uscisse dal cerchio magico. Non avrebbe sopportato una pubblica umiliazione.
Il resto lo metteva in conto. Quando Joan, la moglie di Ted Kennedy, si lamentò con lei delle attenzioni persistenti di suo marito per le altre donne, il commento di Jackie fu: «I Kennedy son fatti così. Vanno dietro a ogni gonna. Non significa niente». La sua formazione e il suo uso di mondo contemplavano anche questa gestione del sesso.
Un giorno le toccò spalancare la porta dello studio dove Jack era alla scrivania. Gli puntò davanti l’indice da cui dondolava un paio di slip di pizzo ritrovati sotto un divano della Casa Bianca: «Trova tu la proprietaria, non sono della mia taglia». E li lasciò a terra.
Alla fine, si tenne fuori dalla campagna elettorale sino a che poté. Jackie aveva assistito ai primi tre confronti comodamente seduta in poltrona, ma per il quarto si presentò negli studi della Abc a New York per dare sostegno morale a suo marito, oltre che per oscurare Pat Nixon, di presenza molto più modesta. Non perché non fosse in grado di essere una chic newyorkese, ma Jackie era inarrivabile. E anche spendacciona.
Quell’autunno, un giornale scrisse che le donne americane erano infastidite da Jackie perché in un solo anno aveva speso trentamila Qui sopra, la copertina del libro (Rai Libri): Al centro, l’auto presidenziale poco prima della tragedia; JFK con la moglie e il figlio John Jr; i due figli nello studio ovale; il presidente in auto con sua moglie Jackie (le foto sono tratte dal libro di Bruno Vespa) dollari in abiti di maison francesi.
«Non sarebbe stato possibile a meno che non avessi portato della biancheria di zibellino sotto i vestiti» avrebbe risposto lei, secondo Christopher Andersen. Jackie spendeva.
Le liti sulla questione denaro tra lei e il marito erano frequenti. Durante la presidenza, ogni mese, Mary Gallagher, la segretaria di Jack, gli consegnava il conto delle spese di sua moglie, poi aspettava che esplodesse. Nel novembre del 1962 ci fu una cena da loro con i Bradlee che, in quell’occasione, appresero che Jackie spendeva oltre centoventimila dollari all’anno, un terzo dei quali solo di abbigliamento. Rimasero tutti stupiti, Jack «non era tanto arrabbiato, quanto incredulo e indignato».
Jackie obiettò che, a differenza della moglie di un ambasciatore statunitense che aveva una soglia di spesa direttamente coperta dal governo, la first lady non riceveva nulla. «Insomma devo rappresentare il nostro Paese!» protestò lei, specificando che il guardaroba, firmato Oleg Cassini, glielo finanziava papà Joe Kennedy. È chiaro che Kennedy non aveva nessuna difficoltà di spesa, i centomila dollari di appannaggio presidenziale li devolveva in beneficenza. Il problema era l’opinione pubblica che, sulle spese di Jackie, cominciò a porre l’attenzione. E per spese s’intendevano anche ristrutturazione e arredi di continue nuove dimore.
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