Paolo Baroni per “la Stampa”
Il crac di Qui!Group, il più grande fornitore di buoni pasto della pubblica amministrazione, travolto da 325 milioni di euro di debiti compresi i 200 a carico degli esercenti convenzionati, non ha insegnato nulla. E soprattutto il governo dopo non ha fatto nulla.
«Il sistema dei buoni pasto è al collasso e se non ci sarà un' inversione di rotta immediata, quasi 3 milioni di dipendenti pubblici e privati potrebbero vedersi negata la possibilità di pagare il pranzo o la spesa coi ticket» avvertono le associazioni delle imprese della distribuzione e della ristorazione.
Per la prima volta in assoluto Fipe Confcommercio, Federdistribuzione, Ancc Coop, Confesercenti, Fida e Ancd Conad hanno infatti dato vita a un tavolo di lavoro congiunto facendo fronte comune. Chiaro il messaggio al governo: «Siamo arrivati ad un punto limite di sopportazione», e in assenza di una riforma che al più tardi dovrà arrivare entro l' autunno, «siamo pronti a smettere di prendere i buoni pasto».
Parliamo di 500 milioni di ticket emessi ogni anno, per un ammontare di 3,2 miliardi, di cui beneficiano ogni giorno 1,8 milioni di occupati del settore privato e poco meno di un milione di pubblici.
Una tassa occulta
«Servono correttivi urgenti», sostengono le imprese, a partire dalla revisione del Codice degli appalti nella Pa. L' attuale sistema genera infatti «una tassa occulta del 30% sul valore di ogni buono pasto a carico degli esercenti, tra commissioni alle società emettitrici (che le gare bandite dalla Consip hanno spinto oltre il 20%) e oneri finanziari legati alle procedure di incasso ed ai ritardati pagamenti».
In pratica bar, ristoranti, supermercati e centri commerciali perdono 3mila euro ogni 10mila euro di buoni pasto incassati. «È evidente - sottolineano le sei associazioni - che lo Stato non può far pagare la propria spending review alle nostre imprese. Così facendo si mette a rischio un sistema che dà un servizio importante a 3 milioni di lavoratori e si mettono in ginocchio decine di migliaia di imprese, tra pubblici esercizi, piccola e grande distribuzione».
Molte le iniziative messe in campo dalle sei associazioni che ieri hanno scritto ai ministri dello Sviluppo e del Lavoro per chiedere di rivedere l' intero sistema con l' obiettivo di garantire il rispetto del valore nominale dei ticket lungo tutta la filiera, visto che oggi un esercente che vende prodotti e servizi per valore di 8 euro ne incassa 6,18. Quindi verrà avviata un' azione di responsabilità nei confronti di Consip «per omesso controllo» e per aver ignorato i campanelli d' allarme che poi hanno portato al fallimento di Qui!Group.
Infine partirà una campagna di comunicazione per mettere in chiaro che in assenza di novità «i buoni pasto potrebbero non essere più buoni». Contro l' ipotesi di uno sciopero dei ticket arriva però l' altolà del Codacons che minaccia una class action «per difendere i diritti acquisiti dei lavoratori».