Estratto dell'articolo di Luigi Ferrarella per www.corriere.it
«La condizione più adeguata alla situazione di salute del paziente» Renato Vallanzasca «è una Rsa, struttura residenziale per persone affette da Alzheimer/demenza», perché il suo attuale stato «rende difficile la compatibilità con il regime carcerario, anche per la necessità di assistenza sempre più intensa e continuativa».
A dirlo non è più la difesa dell’archetipo di «bandito» degli anni 70-80, in carcere da 52 dei suoi 74 anni per scontare quattro ergastoli per omicidi, rapimenti, rapine ed evasioni: per la prima volta, invece, lo attesta una relazione al Tribunale di Sorveglianza di Milano dell’ambulatorio di psichiatria del servizio di medicina penitenziaria dell’Asst San Paolo, proponendo appunto «il differimento della pena in residenza sanitaria assistenziale», o in subordine, «se non possibile» questa soluzione, «il trasferimento» da Bollate «in un istituto penitenziario dotato di Sai-Sezione di assistenza sanitaria intensiva».
Martedì prossimo, in udienza, la giudice di sorveglianza Carmen D’Elia deciderà sulla istanza dei legali Corrado Limentani e Paolo Muzzi.
[…] «Ha perso completamente il controllo» della propria quotidianità, «non è assolutamente in grado di badare» a sé, «è disorientato nel tempo e nello spazio», «a tratti emerge la sofferenza di non riuscire a esprimere con il linguaggio quello che si produce nel suo pensiero», ed è ormai «visibile lo stato di prostrazione» di quanti nel carcere di Bollate lo aiutano, «non formati e preparati per la gestione di un paziente con queste criticità».
renato vallanzasca negli anni 70
Nel 2010 Vallanzasca aveva ottenuto il beneficio della semilibertà dopo oltre un trentennio di galera […] il regime di semilibertà gli fu revocato quando nel 2014 fu arrestato, e condannato a 10 mesi, per tentata rapina impropria (da lui negata) di un paio di boxer in un supermercato di Milano. Nel 2020 il diniego della libertà condizionale fu motivato dai giudici valorizzando il mancato «definitivo ripudio del passato stile di vita», e l’aver invece insistito a «non confrontarsi con la dolorosità del male arrecato». Negli ultimi due anni, infine, ecco l’altalena di decisioni sul permesso (concesso, revocato, ripristinato) di 12 ore alla settimana in una comunità terapeutica.
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