Luigi Manconi per "la Stampa"
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La sentenza della Corte Costituzionale, per la vecchia e immarcescibile "eterogenesi dei fini" certamente non voluta dai membri della Consulta, produrrà, pressoché fatalmente, l'effetto di incentivare l'eutanasia clandestina, quella assai diffusa nella "zona grigia" tra pietà umana e interessi inconfessabili, tra atteggiamento compassionevole e abbandono terapeutico. Perché questa è la realtà molto spesso taciuta o rimossa: l'eutanasia viene praticata con notevole frequenza nell'oscurità delle corsie degli ospedali, nella riservatezza delle camere da letto e nel clima equivoco e complice delle residenze per anziani.
MARCO CAPPATO PROMUOVE IL REFERENDUM EUTANASIA
E può manifestarsi nel gesto doloroso di un uomo, pur dotato di risorse e privilegi, come Mario Monicelli, che si lascia cadere da una finestra del quinto piano di una clinica romana; o nell'atto notturno di chi priva del sostegno vitale un malato terminale. E, invece, l'eventuale esito positivo del referendum avrebbe potuto sortire l'effetto di indurre, infine, a legiferare: a normare, cioè, la materia del fine vita, fissando limiti e vincoli, condizioni e deroghe. Oltretutto, la pronuncia di inammissibilità offrirà un potente pretesto, quasi ne avesse bisogno, a un ceto politico pusillanime per rinviare, differire e procrastinare.
Il risultato è la conferma di un vuoto legislativo, nel quale si riprodurranno illegalità e sofferenza, insensata ostinazione terapeutica e crudele prolungamento artificiale di vite ormai svuotate di significato e di dignità. Va detto, inoltre, che la Corte Costituzionale, nel mentre è chiamata a formulare un giudizio sulla ammissibilità del referendum, sembra entrare pienamente nel merito dello stesso, come si deduce dalla lettura del suo comunicato.
Vi si afferma, infatti, che in caso di abrogazione, anche parziale, dell'articolo 579 del codice penale, "non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili". Qui si possono sollevare due dubbi. Il primo è che, se pure così fosse, quello sarebbe eventualmente la conseguenza di un referendum che ottenesse la maggioranza dei consensi.
Ma la Corte è chiamata a valutare se siano state rispettate le condizioni che rendono il referendum ammissibile, e non a sindacare presunti vizi di incostituzionalità della futura normativa di risulta. E l'articolo 75 indica tre soli motivi espliciti di esclusione, che qui non ricorrono in alcun modo. Certo, nel corso degli anni la giurisprudenza della Consulta ha aggiunto limitazioni legate a criteri di omogeneità e semplicità, ragionevolezza e idoneità a conseguire il fine perseguito.
Requisiti rispettati dal quesito sull'omicidio del consenziente, ma che si prestano a interpretazioni più ampie e discrezionali, alle quali evidentemente i giudici della Consulta hanno fatto ricorso per decretarne l'inammissibilità. Ed ecco il secondo, e ancora più robusto, dubbio.
Il quesito e l'eventuale sua approvazione non avrebbero in alcun modo cancellato e nemmeno intaccato o incrinato quel comma tre dello stesso articolo 579 del codice penale che considera comunque omicidio quello attuato nei confronti del consenziente che sia "persona minore degli anni diciotto, inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un'altra infermità o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti".
O, ancora, l'omicidio di persona il cui consenso sia stato "estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno". Come si vede, anche nel caso di vittoria del sì, quelle "persone deboli e vulnerabili" di cui parla il comunicato della Consulta sarebbero state tutelate e sottratte a una fine non voluta. Mentre, dopo la sentenza della Corte, non siamo affatto sicuri che, nel perpetuarsi di una colpevole carenza legislativa e nell'impossibilità di ricorrere al voto popolare, quelle stesse persone fragili saranno, d'ora in poi, maggiormente protette.