Andrea Pasqualetto per il “Corriere della Sera”
omicidio loris giazzon mala del brenta
Parla a fatica, tace, prende fiato: «Sono tornato poco fa da un piccolo intervento chirurgico, mi rimane ancora qualcosina...». Anche ieri l' ex poliziotto Maurizio Cesarotto è andato all' ospedale per via di un malanno legato a quelle pallottole. Era il 20 aprile 1993, una banda di rapinatori vicina alla Mala del Brenta assalta la filiale della Banca Popolare di Vicenza di Olmo di Creazzo.
Una Volante passa casualmente davanti all' istituto, gli agenti si accorgono che qualcosa non va, si fermano, scendono ed è l' inferno. Colpi di pistola, raffiche di kalashnikov, sangue. Cadono a terra Loris Gazzon e Cesarotto. Il primo muore, il secondo ha un proiettile nella spina dorsale e perde l' uso delle gambe. Da allora Cesarotto vive in sedia a rotelle.
A sparargli fu il «palo» della banda, Ennio Rigato detto Neno, uno che non andava mai per il sottile. Fedina penale nerissima: 67 rapine con la banda della Parrucca rossa, che lo stesso boss Felice Maniero (cognato di Rigato per aver sposato in prime nozze la sorella) considerava poco affidabile. Perché «Neno» aveva il grilletto facile e gli assalti finivano spesso nel sangue.
Condannato a trent' anni, uscirà dal carcere domenica prossima. «Andrà al mare, immagino», s' indigna Cesarotto, che oggi ha 56 anni e abita da solo a Mestrino, alle porte di Padova. L' ex agente ha un figlio, nato proprio 12 giorni prima della tragica rapina. Non è riuscito a fargli da padre, dice. «Oggi fa il poliziotto anche lui, mentre con mia moglie è finita subito. Quando succedono fatti del genere, la famiglia o si rafforza o si disfa. A me è toccato il secondo caso. Chiedo scusa se parlo al rallentatore ma ho qualche problema».
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In 26 anni ha subito una ventina di interventi. Gli hanno tolto la milza, un pezzo di rene, è entrato mille volte in ospedale. Un calvario. «I dolori non finiscono mai e sento che pian piano peggioro». Non accetta la libertà del suo carnefice. «Lui esce e io sono prigioniero di questa carrozzina e di tutti questi malanni. È giustizia?». Va detto che Rigato la galera se l' è fatta, 23 anni per una condanna di 30 scontata dai benifici di legge: per l' indulto e per la liberazione anticipata grazie alla buona condotta (45 giorni ogni sei mesi).
«E la certezza della pena? E Loris che è stato ucciso? E sua moglie e sua figlia?». E lui? «È stata dura, sì. Perché c' è poco da fare, purtroppo quando sei in carrozzina ti usano come portacenere». Quel giorno con «Neno» c' erano suo fratello Massimo, Stefano Ghiro e Pasqualino Crosta, che poi si è pentito e l' ha incastrato.
«Chi prese l' iniziativa di sparare a Creazzo? Semplice: io, Massimo Rigato e Ghiro eravamo all' interno della banca - ha confessato Crosta nel 1996 ai magistrati dell' Antimafia di Venezia -. A far da palo c' era Neno. Il kalashnikov lo usava a sempre e solo lui: bisognava mirare e lui aveva un occhio solo». «Neno» sparò.
Nonostante i tre agenti avessero abbassato le armi per via degli ostaggi usati come scudo dai malviventi. «"Fermi non si spara, andate pure", abbiamo detto. È successo invece che quello con il kalashnikov ha preso me e poi Loris ed è salito in auto ridendo: "ghe ne go secà do"». «Ne ho presi due».
Caricarono il denaro e sgommarono. Bottino, 40 milioni di lire. Non può dimenticare, l' ex agente. La sedia a rotelle, la sofferenza, la solitudine. Ieri è andato a Padova per l' ultimo intervento. È entrato e uscito dall' ospedale. Senza sapere che proprio lì oggi lavora Massimo Rigato della vecchia banda. «A volte vorrei finirla qui...».
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