Estratto dell’articolo di Giacomo Amadori per “la Verità”
È arrivato il primo conto (salato) per il faccendiere Piero Amara. Il 14 giugno l’avvocato siracusano è stato condannato a pagare circa 400.000 euro: 280.000 euro di danni morali e reputazionali («non patrimoniali») all’Eni, 22.500 euro di spese processuali (valori aumentati del 20% «in considerazione della delicatezza delle questioni trattate») e intorno ai 100.000 euro (questa la previsione del giudice) per la pubblicazione della sentenza su sei giornali a tiratura nazionale. La cifra di 280.000 euro rappresenta quasi il massimo delle sanzioni previste dall’Osservatorio della giustizia civile di Milano per le condotte diffamatorie e calunniose.
piero amara intervistato a piazzapulita
È la prima volta che un Tribunale, in questo caso quello di Terni, certifica e quantifica il danno causato dal legale siciliano all’Eni (rappresentata dagli avvocati Sara Biglieri e Luca De Benedetto dello studio Dentons). Per multinazionale del Cane a sei zampe, però, è solo una prima piccola soddisfazione. Infatti l’azienda aveva chiesto 30 milioni di euro di risarcimento per le oscure manovre ai propri danni messe in campo dall’ex consulente.
videoregistrazione di piero amara 3
Il giudice ha riconosciuto un ristoro molto inferiore perché ha ammesso solo una modesta parte del materiale depositato dai difensori dell’Eni e cioè quello consegnato all’inizio del procedimento. Restano fuori dal giudizio tutte le questioni emerse a partire dal luglio 2019, a partire dalle chat e dalle vicende denunciate per esempio dal pm Paolo Storari a proposito dell’inchiesta Ungheria.
Adesso la compagnia petrolifera citerà nuovamente l’ex consulente utilizzando le carte che non sono state prese in considerazione a Terni per ottenere un risarcimento milionario. Di certo la giustizia civile è stata più rapida di quella penale, anche se resta da capire se non sia comunque arrivata troppo tardi. Infatti a partire dal 2018, quando Amara è stato arrestato la prima volta, nessuno ha mai sequestrato le sostanze dello spregiudicato professionista che ha patteggiato diversi anni di reclusione per plurimi reati e che, nel frattempo, avrebbe trasferito i suoi averi a Dubai. Quindi al momento la vittoria è più formale che sostanziale, ma conferma che l’Eni è stata danneggiata da Amara e non sua complice, sebbene in un episodio risalente a quasi due lustri fa.
la videoregistrazione dell'incontro armanna amara 3
Il giudice Tommaso Bellei lo ha condannato per «aver redatto ovvero fatto redigere e depositare, nell’anno 2015, una serie di esposti anonimi alla Procura della Repubblica di Trani e, poi, una denuncia alla Procura della Repubblica di Siracusa - al cui interno poteva contare sulla complicità del pm dottor Giancarlo Longo - nei quali veniva denunciato un preteso “complotto”», di cui avrebbero fatto parte due membri del cda (Luigi Zingales e Karina Litvack) e un alto manager dell’Eni (Umberto Vergine), ma anche «avvocati d’affari, giornalisti e servizi di sicurezza stranieri».
Un «complotto» «asseritamente finalizzato a destabilizzare i vertici di Eni, ma, per stessa successiva ammissione dell’Amara, in realta inesistente». Il giudice ha sottolineato come il pluripregiudicato siciliano abbia «pacificamente ammesso di aver redatto gli esposti e la denuncia», riuscendo a patteggiare a Messina e cercando di farlo ripetutamente a Potenza.
claudio descalzi premio guido carli 2023
Per difendersi dall’azione civile Amara, inventore dell’ormai tristemente famosa loggia Ungheria che ha messo nei guai anche l’ex campione di Mani pulite Piercamillo Davigo, non ha saputo fare altro che sostenere che gli esposti presentati a Trani e a Siracusa in realtà li aveva fatti su mandato e nell’interesse del dirigente di Eni Claudio Granata e dell’amministratore delegato Claudio Descalzi, che era imputato a Milano per corruzione internazionale nel procedimento Opl 245. Coerentemente a detta tesi Amara ha chiesto al giudice di far pagare ai due manager l’eventuale risarcimento in sua vece.
Bellei non ha accolto l’istanza sostenendo che il presunto «mandato» è rimasto indimostrato e che comunque anche «se provata, tale circostanza avrebbe solo l’effetto di una chiamata in correità di tali soggetti nelle condotte delittuose in questione, senza che ciò possa comportare un’esclusione della responsabilità di Amara».
Nel corso del giudizio di Terni l’Eni ha dimostrato, anche con la produzione di due video del 28 luglio e del 18 dicembre 2014 registrati all’interno degli uffici dell’imprenditore Ezio Bigotti molto legato ad Amara, che l’avvocato siracusano, con la presentazione delle false denunce, perseguiva non tanto un accreditamento presso i vertici dell’Eni, ma un proprio interesse personale che la Procura di Milano, indagando sul caso, ha dimostrato consistere nell’obiettivo realizzato di acquisire uno stabilimento petrolchimico in Iran.
piercamillo davigo in tribunale a brescia per il caso amara 1
In conclusione il giudice ha ritenuto che «le calunnie e le diffamazioni poste in essere da Amara» e «la loro diffusione a mezzo stampa costituiscono un danno ingiusto», dal momento che tra le denunce dell’avvocato e «la lesione dell’onore della reputazione dell’Eni e, quindi, la considerazione esterna che la collettività le riconosce, sussiste un evidente nesso di causalità».
Infatti gli esposti hanno fatto «apparire, all’esterno, l’esistenza di una lotta “intestina” tra i soggetti di vertice (dell’Eni, ndr) bramosi di ottenere il controllo – gestionale – della societa stessa» e hanno consegnato «alla collettività un quadro desolante e un’immagine estremamente negativa di una delle maggiori società commerciali italiane».
Un danno aggravato dal «risalto mediatico» dato al cosiddetto «complotto» attraverso le agenzie di stampa e dall’«aurea di veridicità» attribuito ai «fatti riportati negli esposti» ottenuti grazie all’«utilizzo dell’autorità giudiziaria». […]